Giovani Comunisti/e circolo "Peppino Impastato" Partinico (PA)

sabato 15 novembre 2008

Meno male che ci sono loro.........

300 mila studenti sfilano a Roma. Arrivano al parlamento. Hanno idee, allegrezza e voglia di lottare
Stefano Bocconetti http://www.liberazione.it/
La serietà dei professori. Forse l'eccesso di serietà dei professori e dei ricercatori del Cnr. Neanche scalfita dalle musiche che mettevano a loro disposizione. Poi, l'incoscienza e l'ingovernabilità degli studenti medi. Costretti a restare fermi, a piazza Esedra, per ore e quindi «dispersi» in mille rivoli. Tanti ma forse meno che in altre occasioni. E poi loro, gli universitari, i ragazzi e le ragazze di tutta Italia. Gli studenti delle facoltà, i ricercatori. Un numero impressionante. La Questura - che a volte dimezza, a volte divide per dieci - ieri diceva che erano centomila. Comunque un fiume ininterrotto che ha sfilato dalle nove e mezza al pomeriggio inoltrato. Un fiume, un'onda appunto, che ha attraversato la città, ha «assediato» simbolicamente Monteciorio. Oppure s'è seduto in segno di protesta davanti al ministero della Pubblica Istruzione. O davanti al Senato. O ha fatto mille altre cose. Metti insieme tutti questi elementi ed ecco la giornata di mobilitazione dell'università di ieri.
Giornata indetta dal sindacato, da un «pezzo» del sindacato, visto che la Cisl - coerente con gli impegni presi alla cena informale a Palazzo Grazioli - alla fine s'è sfilata e ha revocato l'adesione allo sciopero. I dati raccontano però che dappertutto le percentuali di adesioni sono altissime. Al punto che Epifani dirà che «tante altre volte hanno provato ad isolare la Cgil, ma non ci sono mai riusciti». Neanche stavolta.Una giornata indetta dal sindacato, si diceva. Ma che è diventata enorme, che s'è trasformata, grazie all'irruenza dell'«onda», del movimento giovanile contro la Gelmini. Irruenza è la parola giusta. Il corteo - era stato concordato con la Questura - sarebbe dovuto partire di mattina presto con destinazione piazza Navona. E' partito due ore e mezza dopo, ogni tanto si fermava, aspettava le delegazioni che nel frattempo sbucavano dalle vie laterali. Ha cambiato percorso, è arrivato a Largo Chigi, nella «casa» del governo. Senza un attimo di tensione. Il tutto mentre tante altre parti del «movimento» raggiungevano altri palazzi, altri palazzi della politica.La giornata, l'immensa - e per una volta si può dire: incalcolabile, almeno dal punto di vista dei numeri - manifestazione di Roma ha cambiato di segno, insomma, in corsa d'opera. Per rendersene conto bastava guardare i cortei, che - almeno sulla carta - ad un certo punto avrebbero dovuto riunirsi e percorrere insieme l'ultimo tratto di strada. Aprivano i professori, il personale docente e non docente delle università. Con loro anche i rappresentanti dei partiti che condividevano le ragioni dello sciopero. Si sono visti Ferrero, Bertinotti, Claudio Fava, qualche altro. Nessuno del piddì. Un po' di bandiere della Cgil, due - esattamente due - della Uil. Uno spezzone di corteo silenzioso, senza slogan. Che qualcuno, dal camion che li precedeva, ha provato a ravvivare diffondendo la musica di Bob Marley, senza molti risultati. Poi, tenendosi debitamente a distanza è passata l'onda. Sono arrivati gli studenti. Che hanno affidato a tanti segnali il racconto del loro movimento. Aprivano ragazzi e ragazze sandwich, che sui cartelli di gommapiuma - che magari sarebbero stati buoni anche per proteggersi dalle manganellate della polizia - non portavano parole d'ordine. Ma i titoli di centinaia di libri: dall'«Inferno» di Dante a «Sulla Strada» di Kerouac, passando per «Morte di un commesso viaggiatore» di Miller. Erano in piazza per difendere il loro diritto a leggerli. A conoscerli.Poi, l'ironia dei ricercatori di Firenze. Con uno striscione che ormai ha fatto scuola: «Berlusconi, senza la ricerca non avresti i capelli». O quella dei ragazzi di Potenza, di Cassino. «Se pensate che la conoscenza vi costi troppo, provate con l'ignoranza». E poi i giovani di Medicina di Milano che sfoggiavano enormi forbici, o quelli di ingegneria di Palermo e di Cagliari. O di Genova. Che esponevano strani striscioni con sù disegnati palazzi sbilenchi. Con una didascialia: «Senza sapere ci rimettiamo tutti». E ancora: i ragazzi e i professori di Frosinone. Semplici: «Siamo ad un millimetro dal baratro. Il decreto Gelmini è un deciso passo in avanti». Il tutto senza neanche una bandiera di partito. Anche qui, al massimo uno o due vessilli. Per il resto una marea di altre bandiere, alcune anche incomprensibili (ce n'era una giallo, rossa e nera, punteggiata di blu). Senza simboli. O meglio, senza simboli conosciuti nelle tradizionali manifestazioni. Nel tradizionale mondo della politica. Eppure, dai megafoni - che a tanti è sembrato l'unico legame con altre stagioni -, improvvisati speaker parlavano di politica. Denunciavano sprechi, denunciavano con una precisione ossessiva perché anche l'ultima versione del decreto Gelmini sull'università è distruttivo. Discorsi neanche troppo lunghi, di facile presa. Comprensibili. Discorsi che su ogni punto, su ogni taglio deciso dalla Gelmini, indicavano una controproposta. Discorsi che tutti insieme, insomma, delineavano una vera riforma dell'università. Che comincia però col rifiuto dei tagli del governo. Discorsi che si univano con tante, altre riflessioni. Sul fatto che il «movimento» sta reggendo un po' ovunque, anche se le forme dell'opposizione sono le più diverse. Sul fatto però che il «no» alla Gelmini non potrà vivere solo di appuntamenti romani. Riflessioni che continueranno oggi, quando a Roma faranno il punto su come andare avanti. Riflessioni che sono riusciti a spostare qualcosa? L'effetto sul governo si vedrà. Ieri, però, mentre sfilavano da un balcone di un palazzo è apparso uno striscione. Scritto a mano: «Ragazzi siete l'ultima speranza». E allora, in qualche modo, quell'enorme serpentone di ragazzi e ragazze ha già pagato.

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