Giovani Comunisti/e circolo "Peppino Impastato" Partinico (PA)

giovedì 25 febbraio 2010

La scuola di Tremonti e della Confindustria

La cosiddetta riforma delle superiori rappresenta un documento di infimo livello culturale e di gravissimo impatto sociale.
Due sono i suoi legittimi genitori: i tagli di Tremonti (migliaia di cattedre in meno, per anni) di cui i regolamenti sulla scuola secondaria sono la veste didattica e le richieste di CONFINDUSTRIA che da anni ha scelto la scuola secondaria (e in particolare l’istruzione tecnica) come oggetto importante della sua diretta ingerenza politico-istituzionale.
A questo riguardo segnaliamo l ‘action plan per l’istruzione tecnica , prodotto da CONFINDUSTRIA, nell’ottobre del 2008. Lì ci sono tutte le scelte strategiche che ritroviamo nei regolamenti della Gelmini e anche qualche brutto anticipo di un prossimo futuro:
Sui contenuti si prevedeva:
* contenimento del numero delle materie
* 32 ore settimanali ma non predefinite: 2-3 devono essere in piena disponibilità delle scuole
* istituzione della disciplina di scienze integrate che raggruppa fisica, chimica, biologia e scienze della terra
* una sola lingua straniera
* insegnamento di un’altra disciplina in inglese.

Sugli organi di governo si prevedeva:
* affiancare al dirigente scolastico un consiglio di amministrazione con forte presenza di esterni (aziende, professioni) con poteri effettivi di governo
* separare il CdA dagli organismi partecipazione democratica
* dare eventualmente al CdA un nome più accattivante (sic!)
* inserire un rappresentante aziendale nelle commissioni di esame
* strutturare il previsto Comitato Nazionale per l’Istruzione Tecnica in sottocomitati che controllino strettamente gli indirizzi.

Sulle risorse umane si prevedeva:
* Scelta del personale docente teorico e pratico ad libitum della scuola, fuori da graduatorie e classi di concorso
* Scelta del personale da inserire negli spazi di flessibilità (20%-30%-35% dell’orario) ad libitum della scuola
* Eliminazione degli insegnanti tecnico pratici e loro sostituzione in laboratorio con “personale di provata esperienza lavorativa”.

Con i nuovi regolamenti questo modello è stato quasi integralmente assunto.
E’ opportuno ricordare come nelle scorse settimane, a Catania, il responsabile della commissione che ha “ studiato” i regolamenti dell’istruzione tecnica e professionale (prof. De Toni) ha candidamente e pubblicamente affermato,che è stata Confindustria ad imporre alla Gelmini la sua riconferma.
Certo sugli organi di governo c’è stato il freno (temporaneo) del consiglio di stato e stiamo aspettando l’attacco finale sul personale- in particolare sul reclutamento– preannunciato dalla Gelmini al primo intervento pubblico (in un convegno di CONFINDUSTRIA, naturalmente) con queste parole “dobbiamo riorganizzare i meccanismi di reclutamento, valutazione e retribuzione" degli insegnanti… “sbarazzandoci del concetto di scuola egalitaria”.
Lo schema confindustriale ha trionfato partendo dall’istruzione tecnica ma tirandosi dietro tutto il sistema: infatti i licei sono soggetti ad una forte gerarchizzazione tra le varie tipologie e comunque complessivamente depotenziati nella capacità di offrire cultura critica, mentre all’altro estremo l’istruzione professionale viene sempre più sospinta verso un ambito di non-scuola , verso la formazione professionale regionale o addirittura verso l’apprendistato.
E’ assolutamente, infine, necessario sottolineare come il disastro della scuola abbia anche come tra i suoi riferimenti ideologici e normativi la riforma federalista dello stato che di fatto scardina progressivamente l’unitarietà del sistema dell’istruzione. Ciò ovviamente non potrà che comportare oltre ad un quadro culturale più asfittico e provinciale, una differenziazione progressiva nell’offerta formativa, nel reclutamento e nelle condizioni di lavoro del personale della scuola.
Non è un caso che già l’Alto Adige si tuteli rifiutando l’ applicazione della “riforma” per il prossimo anno scolastico. I territori più forti comunque limiteranno i danni; il mezzogiorno e la Sicilia invece sommeranno debolezza del contesto sociale e inefficienza (o peggio) delle amministrazioni regionali ai tagli nazionali.
Il risultato è una scuola secondaria superiore più povera ed ingiusta, che sancisce e moltiplica le diseguaglianze,che separa a seconda della condizione e del luogo di nascita.
La diminuzione dell’offerta formativa in termini di tempo scuola e di pluralità di discipline è la forma trovata ai drastici tagli ma assolve anche all’esigenza, in particolare nell’istruzione tecnica e professionale, di diminuire il tempo-ritenuto sprecato!- alla formazione generale ed alla costruzione della capacità critica.
La clamorosa scelta di tagliare, dall’anno prossimo, gli orari anche nelle seconde, terze e quarte dell’istruzione tecnica e professionale non coinvolte nella riforma è più eloquente di ogni parola.
C’è da aggiungere che anche le modalità con cui verranno concretizzate le amputazioni di materie, con le cosiddette “quote di flessibilità”, lungi dal costituire un’attenuazione del problema, trasformeranno le scuole in campi di battaglia per la sopravvivenza, dove le armi prevalenti certo non saranno quelle della cooperazione didattica.
Dal punto di vista dell’impianto generale la riforma Gelmini incrocia il peggio del vecchio modello pedagogico italiano (quello fascista della riforma Gentile) con il peggio della vulgata liberista (che tutti i maggiori paesi, tra l’altro, stanno mettendo in questione).
Non ci sono le scelta di cui, da decenni, la scuola e la società italiana hanno bisogno:il prolungamento dell’obbligo e un biennio obbligatorio, unitario (se non addirittura unico) e orientativo che sia fondamento di cittadinanza e base per scelte consapevoli e non determinate esclusivamente da condizioni esterne, in primo luogo sociali.
Al contrario la gerarchizzazione tra le varie tipologie d’istituti esce confermata, ed anzi è il tratto distintivo dell’operazione, connotandola come discriminatoria socialmente.
Siamo di fronte ad un modello di scuola strutturata gerarchicamente, dove la separazione fra culture, tra sapere e saper fare, è il caposaldo su cui poggia l’intera impalcatura culturale e organizzativa.
Come se fosse oggi possibile pensare a una istruzione che si fondi su una cultura solo linguistico- letteraria o solo scientifica o solo tecnica o solo ‘professionale’, a spendibilità immediata.
Addirittura si costruisce una precoce gerarchia all’interno della stesse scelte liceali.
A coronamento di questo modello vi è la proposta recentemente avanzata dalla destra di assolvere l’obbligo di istruzione persino nell’apprendistato (offrendo così alle aziende manodopera a basso costo ed ai ragazzi nessuna opportunità formativa).
Una sistema che “smista” i più deboli verso settori resi privi di contenuto culturale e di efficacia formativa (a questo proposito parlando di istruzione tecnica e professionale non è possibile dimenticare che parliamo dei comparti scolastici che assorbono quasi tutti gli studenti immigrati e diversamente abili).
L’idea è sempre la stessa: selezionare ed escludere prima che si può, senza offrire alcuna possibilità di rimotivazione allo studio e di recupero scolastico agli alunni che più ne hanno bisogno.
Il modello gelminiano canalizza precocemente e rigidamente i percorsi di istruzione formazione ed abbassa il livello culturale del paese.
Dentro questo quadro generale emergono poi numerosi e gravissimi problemi, specifici ma non meno rilevanti, dalla sorte di diverse discipline alla reale consistenza di nuovi indirizzi di studi.
Il tutto avverrà in un caos generalizzato, che inizierà nelle prossime settimane quando sarà impossibile per i giovani e le famiglie anche compiere un scelta semplicemente informata e si prolungherà oltre l’inizio del prossimo anno scolastico. Per i lavoratori della scuola, docenti ed ATA, precari ma anche di ruolo si annunciano mesi di passione: altre migliaia di espulsi dalla scuola, forse la ripetizione della giostra beffarda del salva-precari, migliaia di docenti di ruolo in sovrannumero, per tutti un forte aumento di carichi di lavoro senza nessun corrispettivo.
Una grande mobilitazione per opporsi a tutto ciò nelle forme più radicali appare indispensabile. Se non ora quando?

Luca Cangemi, segretario regionale del PRC

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