Giovani Comunisti/e circolo "Peppino Impastato" Partinico (PA)

mercoledì 25 gennaio 2012

GIORNATA DELLA MEMORIA 27/01/12. Proiezione di "Ogni cosa è illuminata"

In occasione della giornata della Memoria, il circolo "Peppino Impastato" del Partito della Rifondazione Comunista organizza la proiezione del film "Ogni cosa è illuminata".

VENERDI' 27 GENNAIO 2012
ORE 21 - SEDE PRC (EX ARENA LO BAIDO)
PROIEZIONE DEL FILM "OGNI COSA E' ILLUMINATA"

Leggi la recensione di Giovanna Nobile:


Attimi di vita sigillati in bustine trasparenti come reperti per indagini. “Per non dimenticare”. Così in Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber le emozioni sembrano essere collezionate più che vissute dal protagonista Jonathan (uno stralunato Elijah Wood con residui di Frodo-Signore degli anelli) anche quando questi sarà costretto a relazionarsi con un’altra cultura nella lontana Tracia dagli sterminati campi di girasoli. Un rilassato umorismo da commedia nel primo tempo vira d’improvviso verso la tragedia lasciando supporre che il regista non sia riuscito ad amalgamare le due parti nè quanto meno ad addolcire il passaggio da un tempo all’altro. Così sembra siano due i registri di lettura come già successo ne La vita è bella del nostro Benigni, tanto che viene spontanea la riflessione che sia d’obbligo tramutare la comicità in tragedia quando sono gli ebrei a fare da soggetto in un film. Superba l’interpretazione degli attori, tutti ucraini (tranne ovviamente Wood), quanto scoppiettante la musica che, alla maniera di Kusturica, accompagna, segnandone i tempi, tutta la prima parte del viaggio di Jonathan in Ucraina. Il serioso ed introverso ragazzo americano, nella ricerca del suo albero genealogico, deve fare i conti non solo con Alex, suo coetaneo, che gli farà da interprete col suo inglese sgrammaticato tanto da rendere esilaranti certe situazioni, ma anche col vecchio nonno di questi, autista sedicente cieco e la sua psicopatica cagnolina. Ma in questa terra nulla sembra essere come si mostra. Così d’un tratto, troppo repentinamente, si scoprirà che il vecchio scorbutico e rozzo nasconde un dolore talmente grande da fargli rinnegare le sue origine ebraiche fino al proclamato antisemitismo. Come pure il giallo da cartolina degli immensi campi di girasoli nasconde fosse comuni e pezzi di storia cancellati con il villaggio di Trachimbord, uno dei numerosissimi shtetl bruciati e dimenticati durante la Seconda Guerra Mondiale. Devastante il passaggio dei nazisti per questi posti come lo è stato per gli stessi protagonisti, rimasti o emigrati, la cui storia sembra essere morta con quella strage. Tranne poi scoprire che a collezionare attimi di vita non è solo Jonathan. La donna che il ragazzo finalmente troverà ha infatti accumulato negli anni, ordinatamente conservata, qualsiasi cosa ritenuta possibile testimonianza di quell’eccidio e riconoscerà in Jonathan il nipote dell’uomo amato da sua sorella Augustina, dell’uomo che lei aveva salvato dalla morte.
E proprio dall’emozione intensa di questo incontro si capisce che i sentimenti e le sofferenze non potranno mai avere un posto tra gli oggetti collezionati, nè tanto meno ci sono bustine che possano contenerli e sigillarli. Si disvela una storia per immagini più che per dialoghi, molti dei quali volutamente non doppiati, immagini alcune delle quali quasi insostenibili come nel flashback di quell’occhio di fucile pronto a dare la morte mentre quello del condannato registra la vita nella presenza di una giovane donna che da lontano sta assistendo all’esecuzione.
La solennità dell’incontro tra Jonathan e il passato del nonno è anche quella della donna con i due ucraini che il destino sembra abbia voluto portarli con il ragazzo per svelare infine un mistero che li accomuna, che li porta a riconoscersi parte di una stessa storia. E non solo come popolo.
Il film si dipana a capitoli come a voler mettere ordine anche nel fluire del tempo. Ogni pezzo dentro un proprio contenitore. E se il passaggio dalla comicità al dolore non è ben guidato, sfugge di mano a Schreiber, l’ultimo capitolo è senz’altro il più “illuminato”, tanto da sconfinare quasi nel surreale di mihaileanuiana memoria in Train de vie, regalandoci un sogno. Doloroso quanto struggente sogno, vero però nella sua drammaticità. Mentre il suicidio del vecchio viene visto con pietas, con la consapevolezza che finalmente l’uomo scontroso e incapace di accettare il suo passato abbia trovato pace.
Tutto il film sembra avvitarsi sulla ferrea volontà degli ebrei di non aver voluto dimenticare, di guardare costantemente al passato come l’Angelus Novus di Paul Klee secondo l’interpretazione che ne dà W. Benjamin. Nella consapevolezza che soltanto nel ricordo della loro grande quanto, in certi momenti, tragica Storia possono ritrovarsi, nel coltivare le loro tradizioni, nel far risplendere la luce del ricordo perchè ne sia rischiarato il presente.

0 commenti: