I tecnici, gli esperti, i professionisti della tecnocrazia politica ed economica lascino il passo, hanno già fatto abbastanza danni. L'Onda travolge tutto. Rispecchia nel discorso ciò che produce nelle pratiche. I percorsi obbligati, questi sconosciuti all'Onda dei cortei, non sopravvivono nemmeno nel dispiegarsi dell'autoriforma dell'assemblea del 15 e del 16 novembre. Non sono serviti gli specchietti per le allodole di Gelmini, le accuse più deliranti, gli editoriali dei grandi giornali. L'onda non si ferma, anzi allarga il terreno del conflitto declinando quel "noi la crisi non la paghiamo" che ha letteralmente invaso il paese. Eccoli i bamboccioni di Padoa Schioppa e i fannulloni di Brunetta. Sono quelli espropriati e impoveriti di tutto proprio mentre producevano le risorse fondamentali di questo malato sviluppo economico: conoscenza, ricerca, comunicazione, innovazione tecnologica. Questi bamboccioni e fannulloni sono l'intera filiera produttiva cognitiva. I preferiti nei discorsi di politici, economisti, imprenditori. Maestri, insegnanti, studenti che nella retorica politica "hanno in mano le chiavi del futuro" e a cui quelle chiavi andavano velocemente e ipocritamente sottratte.Troppo pericoloso per chi preparava il terreno a questo capolavoro di sviluppo che oggi affoga nell'indebitamento e nella speculazione finanziaria pretendendo di affogare in primis chi con la propria ricchezza gli ha permesso di vivere fin qui. La verità è che questa generazione di studenti, dottorandi, ricercatori ha pagato la maturazione e lo sviluppo di questa crisi economica. Per alimentare il sistema finanziario ed economico che l'ha prodotta a questa generazione è stato negato il desiderio e il piacere come spinta alla conoscenza, è stata distrutta ogni aspettativa rispetto al proprio futuro, è stata imposta un'ipocrita meritocrazia di censo e di parte, sono stati propinati saperi scadenti e frammentati, precariato, controllo, disciplinamento, criminalizzazione e perfino dileggio.Tanto basta per mandare tutto alle ortiche e tentare di riprendersi le chiavi. E infatti l'autoriforma dell'onda non è una controproposta, non è un testo di legge da presentare al parlamento. E' invece un programma di trasformazione, cambiamento e conflitto. A chi in questi due mesi ha scritto e pensato, da destra e da sinistra, che questo movimento difendesse l'istruzione pubblica e statale che c'è, che difendesse i baroni e lo status quo di una scuola e un'università in rovina, che più banalmente questo movimento giocasse in difesa e conservazione attestandosi sulla barricata vertenziale del ritiro della legge 133, viene da dire una cosa sola: leggete i documenti introduttivi e finali dall'assemblea nazionale di sabato e domenica scorsi.A essere rispedito al mittente è praticamente l'intero sistema formativo così come è stato configurato da circa vent'anni di riforme, provvedimenti e finanziarie: i tagli delle risorse, il 3+2, il prestito d'onore, la trasformazione in fondazioni private, i numeri chiusi, gli stage e i tirocini gratuiti, la parcellizzazione degli esami, i grembiulini e i voti in condotta, i concorsi truccati, il baronaggio, la valutazione "aziendale" della qualità della didattica e dei servizi, i contratti precari e il blocco del turn over e così via. E questo è già tanto da imparare per tanta sinistra, ma è poco rispetto a quello che è realmente in campo. In campo infatti c'è tutto: dal welfare alle forme della politica e della democrazia. In campo c'è un'analisi incarnata, aggiornata e contemporanea del capitalismo. Leggere con attenzione non fa male e chi vuol intendere intenda. Intenda per esempio che l'autoriforma, che a partire da queste due giornate costruirà un lungo processo costituente di cambiamento e di conflitto, sa meglio di chiunque altro come costruire un'università e una scuola pubbliche, libere dal controllo statale e del mercato. E sa anche come riprendersi tutto, come declinare il terreno della precarietà, del lavoro e della sua organizzazione.Interroga la contemporaneità dell'esperienza viva e smette di ricercare nel passato la soluzione dei problemi del presente. Chiede il reddito come proposta di superamento dei vecchi e ormai disfatti strumenti del diritto allo studio (diretto, in forma di erogazione monetaria e indiretto, in forma di servizi come casa, trasporti, accesso alla cultura) come redistribuzione della ricchezza che è stata sottratta. Non è un caso se alla convocazione dello sciopero generale della Cgil per il 12 dicembre se ne affianca un'altra, quella del movimento, per uno sciopero generalizzato: un intreccio e un dialogo che non è ne una subordinazione né tantomeno un'affidamento. L'opposizione sociale si dispiega e non lo fa banalmente: realizza l'abbattimento di tutti gli steccati classici della rappresentanza. Steccati che non possono più reggere ora che la crisi economica squaderna davanti a noi chiare connessioni e mescolanze sul terreno delle nuove figure del lavoro e dei processi produttivi. L'onda ha denudato tutto con una sola mossa facendo quello che nessun partito d'opposizione era riuscito a fare con le proprie manifestazioni, tutte all'insegna dell'autorappresentazione nella crisi: divellere il consenso diffuso intorno al decisionismo securitario su cui il governo Berlusconi aveva prevalso alle elezioni e impostato quest'inizio di legislatura. E' con questo che tutti, a destra e a sinistra, hanno dovuto fare i conti. E' per questo che l'irrapresentabilità è oggi l'unico terreno possibile in questo tempo e in questo spazio di ricerca aperta e di costruzione di senso diffuso, non "fuori dalla politica" ma invece al suo cuore che è la parola e l'agire collettivo. A sinistra, almeno, sarebbe bene intenderci.
Elisabetta Piccolotti (portavoce nazionale Giovani Comunisti/e)
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