Giovani Comunisti/e circolo "Peppino Impastato" Partinico (PA)

sabato 15 novembre 2008

L'ipocrisia delle "novità" introdotte dalla ministra Gelmini

Pubblico un interessante documento scritto da Fulvio Vassallo Paleologo della facoltà di Giurisprudenza di Palermo, che è pervenuto alla mia casella email. Chi vuole approfondire anche nei dettagli le menzogne del ministro Gelmini, lo legga attentamente!
G.R.
I FATTI E LE MENZOGNE : VERSO LA DISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ PUBBLICA
Il Governo ha fatto ricorso all’ennesimo decreto legge, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 77 della Costituzione, questa volta per sedare la rivolta scoppiata negli atenei contro i tagli previsti per la spesa universitaria, il blocco sostanziale del turn-over dei docenti, la privatizzazione progressiva del sistema universitario nazionale. Obiettivo dell’intervento del governo - che si articolerà anche in altri provvedimenti o linee guida che dovranno essere emanati per la governance degli atenei, per la valutazione, per lo stato giuridico, per il dottorato ed il reclutamento - è stato innanzitutto quello di contrastare il brusco calo di consensi registrato nei sondaggi durante le settimane della protesta studentesca e dividere il fronte dei docenti dagli studenti. Ancora una volta, con misure che appaiono preordinate più a sortire un “effetto annuncio” che a risolvere i problemi che affliggono l’università italiana. Sarebbe stato semmai necessario e urgente intervenire con un decreto legge per restituire alle università tutte le risorse sottratte dalla legge 133, e riportare la spesa per le università italiane alla media europea, riservandosi poi di intervenire con una legge ordinaria sullo stato giuridico dei docenti, sulle procedure di reclutamento e sugli strumenti concorsuali per la progressione delle carriere. Con l’intervento sui concorsi si innescano anche all’interno delle diverse fasce docenti false prospettive di progressione di carriera, per tentare di dimostrare poi agli studenti la natura “corporativa” della mobilitazione dei professori e dei ricercatori.
Il provvedimento adottato dal governo il 6 novembre “restituisce” ai rettori, ma solo agli atenei “virtuosi”, una parte dei tagli operati con la legge 133 approvata nell’agosto di questo anno, ed accorda 200 milioni di euro per il 2009, al fine di garantire il diritto allo studio universitario, attraverso alloggi, residenze, borse di studio. Nessuna modifica dei tagli previsti a partire dal 2010 e per gli anni successivi dalla legge 133 che sottrae agli atenei italiani una media di trecento milioni di euro per anno. Tutto questo mentre oggi, secondo dati OCSE la spesa annuale per studente è di 12.446 dollari in Germania, di 10.995 dollari in Francia e soltanto di 8.026 dollari in Italia. Non si comprende come la Conferenza dei Rettori (CRUI) possa ritenersi soddisfatta del decreto legge dopo che aveva richiesto “una urgente riconsiderazione delle condizioni finanziarie determinate dai recenti provvedimenti del governo che porterebbero a situazioni del tutto insostenibili per l’intero sistema a partire dal 2010”. Un ennesimo cedimento che spiana la strada ai provvedimenti adottati dal governo, dopo che già lo scorso luglio, era bastato che il ministro Gelmini annunciasse un tavolo di confronto ( poi mai partito) per fare rientrare la protesta dei rettori prima dell’approvazione della legge taglia-fondi 133, poi avvenuta il 4 agosto, quando le università si erano ormai svuotate.
Punto centrale del decreto legge è la revisione del sistema di reclutamento dei docenti e dei ricercatori. Un sistema che, attualmente, funziona in base a una vecchia normativa, ripristinata in seguito alla mancata applicazione della legge Moratti (n. 230/2005) e alla bocciatura da parte della Corte dei Conti del disegno di riforma messo a punto successivamente dall'ex ministro Fabio Mussi. Le ultime decisioni dell’esecutivo, subito accolte con sollievo dal Presidente della Repubblica, che ha ritenuto di nuovo aperto un canale di dialogo tra maggioranza ed opposizione, hanno avuto un effetto immediato. Diversi Rettori hanno espresso la loro valutazione favorevole e si sono detti disponibili ad aprire un confronto. Vedremo presto quali saranno i “frutti” di questo rinnovato “clima di confronto”. Anche i rappresentanti del principale partito di opposizione hanno espresso il loro compiacimento per quello che considerano come un successo della protesta di queste settimane, riservandosi di entrare nel merito del testo del decreto dopo la sua pubblicazione, come se le concessioni “elargite” dal governo sui finanziamenti e sulle linee guida per i futuri interventi sull’università costituissero l’inizio di una fase di trattative in vista di una riforma organica. I vertici amministrativi hanno tirato un sospiro di sollievo perché le misure adottate dal governo consentivano loro di “tirare a campare” ancora per un anno. Come se non fosse scontato, anche alla luce dei dati diffusi dal ministero che a partire dal 2010, se i tagli imposti da Tremonti venissero confermati, l’intero sistema universitario nazionale si avvierà verso il blocco di interi corsi o la chiusura degli accessi, in ogni caso con un aumento vertiginoso delle tasse universitarie. E lo sblocco del turn-over appare una misura più fittizia che reale. Per ora sono in sette ma già dal prossimo anno, e soprattutto dal 2010, il gruppo degli atenei colpiti dal decreto legge blocca-concorsi potrebbe crescere considerevolmente ad oltre la metà degli atenei italiani. A medio e lungo termine il numero dei docenti universitari sarà comunque dimezzato ( o quasi) e questo dato comporterà una riduzione indiscriminata dell’offerta didattica e delle attività di ricerca con una ulteriore perdita di competitività del sistema universitario nazionale.
Il decreto legge varato dal Governo blocca dunque il reclutamento di ricercatori, associati e ordinari nelle università che dedicano agli assegni fissi per il personale più del 90% del fondo statale, dopo anni di continue riduzioni del fondo di funzionamento ordinario (FFO). La situazione di questi atenei non poi tanto lontana da quella della maggioranza delle sedi universitarie. L’effetto di blocco della misura viene oggi ( ma non si sa quanto domani) ad interessare un numero ridotto di atenei (in rosso), mediante l’adozione di particolari correttivi che ne salvano altri già in gravi difficoltà, tenendo conto della presenza dei policlinici universitari a gestione diretta. Secondo il Sole 24 ore, “fino al 2008. Il conteggio del rapporto fra spese di personale e Fondo statale è stato ogni anno alleggerito da una serie di correttivi in favore degli atenei, tra cui spicca quello che impone di conteggiare per 2/3, e non per intero, il personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale nelle facoltà di medicina. Senza lo "sconto", a sforare il tetto sarebbero in 26, tra i quali anche l’Ateneo di Palermo, cioè quasi la metà dei 58 atenei statali, e poi in pratica quasi tutte le università dovrebbero bloccare le procedure concorsuali. Una prospettiva che non è comunque scongiurata, secondo i diretti interessati: «I concorsi – secondo Augusto Marinelli, rettore di Firenze – devono avere una copertura pluriennale, per cui nei fatti lo stop ai concorsi scatterà per moltissimi già il prossimo anno». Nel 2010, infatti, il fondo ordinario dovrebbe essere ridotto di 659 milioni, attestandosi intorno ai 6,8 miliardi, e nel 2011 dovrebbe scendere verso i 6,2. Ovvio che, diminuendo l'estensione della base di calcolo, il peso percentuale degli stipendi cresce proporzionalmente”.
Il decreto legge approvato il 6 novembre dal governo non risolve i problemi finanziari delle università e si inquadra all’interno di una logica di sottofinanziamento delle università pubbliche a tutto vantaggio degli enti universitari privati, che proprio in questi giorni hanno intensificato le loro campagne pubblicitarie. Come si osserva in un recente articolo del Sole 24 ore “oltre all'analisi dei tagli agli atenei contenuti nella Finanziaria per il 2009, c'è anche quella degli importi assegnati alla missione "Istruzione universitaria" dal disegno di legge di bilancio per il prossimo anno. Nella missione "Istruzione universitaria", divisa in 3 programmi, la dotazione è di 8.549,3 milioni di euro per il 2009, 7.844,5 milioni per il 2010 e 7.037,5 milioni per il 2011. La prima tabella, elaborata su dati del Servizio studi della Camera, nasce dal confronto tra gli importi assegnati a ogni programma con quelli del triennio successivo, dove verificare le riduzioni rispetto alle previsioni assestate di bilancio 2008, che escludono i tagli derivanti dai Dl 93/08 (Ici) e Dl 112/08 (manovra d'estate). Le riduzioni più forti contenute nel ddl di bilancio per il 2009 sono concentrate nel programma sistema universitario e formazione post-universitaria, che scende verticalmente da poco più di 8mila milioni di euro a 6.496,5 milioni nel 2011 (meno 1.645,5 milioni di euro). Negli importi assegnati dal ddl bilancio per il diritto allo studio, dove si concentrano i fondi per borse di studio, prestiti d'onore, contributi per alloggi , residenze e collegi universitari e attività sportiva, si registra un calo che supera il 60% nel 2011 rispetto alle previsioni assestate 2008. Di fronte a questo dato i duecento milioni di euro accordati dal decreto per il diritto allo studio sono soltanto un palliativo.
Sono proprio i tagli programmati complessivamente per i prossimi anni, confermati ancora una volta, che rendono del tutto strumentale la concessione delle risorse apportate dal decreto legge approvato dal governo il 6 novembre scorso. Un vero e proprio contentino per calmare le acque, portare in approvazione il decreto legge sotto Natale, quando le università si saranno svuotate, e garantire agli atenei la sopravvivenza per un anno. Non stupisce dunque la risposta negativa del movimento degli studenti e dei docenti riuniti a Firenze sabato 10 novembre.
Studenti e docenti sanno ormai che contro il disegno di dismissione dell’università pubblica, condiviso dal governo e da buona parte dell’opposizione, che ha aperto anche sulla possibilità della trasformazione delle università in fondazioni, l’unica strada praticabile a questo punto rimane l’autoriforma dal basso dell’università, mantenendo alta la mobilitazione, a partire dalla pratica di una nuova didattica, con una diversa fruizione dei tempi e degli spazi, ma anche moltiplicando le occasioni di controllo democratico e di denuncia della gestione amministrativa degli atenei, del reclutamento e delle carriere..Occorre anche costruire a livello locale occasioni autogestite di incontro con il mondo per lavoro e con le associazioni del terzo settore per costruire nuovi percorsi per il passaggio ( nei due sensi) dalla fase della formazione alla fase dell’impegno lavorativo.
Di fronte ad una situazione di emergenza, questa si vera emergenza, prodotta progressivamente negli anni passati e aggravata di un colpo dai provvedimenti di taglio delle risorse adottati dal governo con a legge n.133 del 4 agosto 2008, il ministro Gelmini sostiene adesso necessario il ricorso alla decretazione d'urgenza per modificare le procedure dei concorsi universitari già banditi, ma per i quali non si è ancora formata la commissione a seguito dell’espletamento delle procedure elettorali. Una argomentazione che contrasta non solo con l’art. 77 della Costituzione, ma con il principio di parità dettato dall’art. 3 e con il principio di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, affermato dall’art. 97 della Costituzione. Un intervento su concorsi già banditi, per i quali i candidati hanno già presentato domanda, mentre sono in corso le procedure per la selezione dei commissari appare infatti lesivo degli interessi dei concorrenti, della parità di trattamento, e del principio di buona amministrazione, differenziando i candidati alle diverse valutazioni comparative indette con lo stesso bando, sulla base del momento di formazione della commissione concorsuale, e dunque foriero di un vasto contenzioso amministrativo che rallenterà o bloccherà del tutto l’iter concorsuale in numerosi settori disciplinari ad elevata conflittualità. Secondo Andrea Lenzi, presidente del Cun, il Consiglio universitario nazionale, «ciò significherebbe rinviare le comparazioni valutative per le progressioni di carriera di circa 20mila ricercatori e altrettanti associati».
La soluzione inventata all'ultimo minuto in Consiglio dei Ministri sulla formazione delle commissioni nei concorsi ad ordinario e ad associato, ripescando l’elezione di una “rosa” ( seppure allargata) di commissari da eleggere prima del sorteggio, mantiene in capo alle oligarchie accademiche tutti i poteri di cooptazione che hanno prodotto la “parentopoli” universitaria, ancora una volta modificando tutto in apparenza, senza mutare niente nella sostanza. Le modifiche apportate in extremis al decreto riproducono il sistema esistente con modifiche marginali ed eliminano comunque ogni residuo fondamento allo 'stato di emergenza' invocato dal Ministro Gelmini per giustificare il ricorso allo strumento del decreto-legge sui concorsi già banditi, in quanto si prevedono procedure il cui espletamento potrebbe durare ancora più a lungo di quelle attuali, senza alterare, anzi accentuando la “logica di scambio” tra i diversi gruppi nella fase del reclutamento. Come osserva un recente documento dell’ANDU “ quanto approvato non cambia nulla rispetto alle norme attuali. Fino ad oggi la commissione veniva composta dal membro interno (colui al quale era stato 'assegnato' il posto per poterlo 'girare' al suo allievo) e lo stesso membro interno invitava quattro colleghi, per i posti a professore, e due, per i posti a ricercatore, a candidarsi per farsi eleggere nella commissione. Da domani, invece, il membro interno chiederà a dodici colleghi, per i posti a professore, e a sei colleghi, per i posti a ricercatore, di candidarsi per farsi eleggere nella rosa da cui sorteggiare i quattro (e due) membri della commissione”. Con i poteri di controllo su scala nazionale che hanno consolidato i gruppi baronali che controllano tutti i settori disciplinari, continuerà ad essere un giochino assai facile pilotare le elezioni per rendere inefficace l’esito, qualunque sia, della successiva fase del sorteggio. Sembrerebbe che a questo “cambiare tutto per non cambiare nulla” abbiano dato il loro contributo anche il ministro Brunetta ed il solito Gianni Letta, braccio destro di Berlusconi. C’è sempre qualcuno, evidentemente, che provvede a coprire le malefatte di quelli che poi chiamano “baroni”, per disorientare gli studenti e farli cadere nella trappola delle presunte strumentalizzazioni che si denunciano la mattina e si praticano la sera.. Sembra dunque assai appropriato il commento di Giuliano Cazzola del Pdl: "Si complicano le procedure senza mutarne la sostanza".
L’allungamento dei tempi delle procedure concorsuali avrà conseguenze devastanti anche a fronte della conferma dei tagli previsti per i fondi di funzionamento ordinario (FFO)a partire dal 2010. Per molte università i concorsi banditi con le nuove regole, o quelli bloccati in attesa di ricomporre le commissioni con le nuove regole, potrebbero essere anche gli ultimi concorsi prima di sprofondare nel limbo degli atenei in rosso, esclusi per questo dalla possibilità di bandire anche un solo posto. Un effetto che non sarà certo impedito dall’alleggerimento del blocco del turn-over, e che si produrrà anche qualora gli atenei volessero ( o meglio fossero costretti a ) trasformarsi in fondazioni a causa dei tagli ai finanziamenti e della durata e della complessità delle procedure previste per questa fase. Un eventuale scorporo dei policlinici, facendo cadere i fattori correttivi più favorevoli, potrebbe fare precipitare il rapporto tra spesa complessiva e spesa per gli stipendi, portando alla paralisi anche gli atenei che oggi si sentono al sicuro ( almeno per il prossimo anno). Gli atenei siciliani, nell’incerta prospettiva di scorporo dei policlinici universitari, con le università di Catania e Messina già al centro di indagini da parte della magistratura, potrebbero pagare un prezzo altissimo per effetto delle misure adottate o annunciate dal governo.
La protesta universitaria di queste settimane, a Palermo come nel resto d’Italia, non ha intaccato il diritto allo studio di quanti sono iscritti ai corsi universitari, come si è voluto fare credere per delegittimare le ragioni della protesta. Saranno invece le scelte di Tremonti, Brunetta e della Gelmini, autentici referenti politici di quella che è stata definita la “maggioranza silenziosa” degli studenti (che non ha partecipato alle iniziative di protesta rivendicando la esigenza di proseguire con la didattica quotidiana), che “chiuderanno” le università nei prossimi anni, determinando in molti corsi le condizioni per il blocco delle attività didattiche, la reintroduzione del numero chiuso ed un aumento incontrollabile dei costi necessari per iscriversi all’università. A tutto vantaggio delle università private e di quanti vi potranno ancora accedere.
Le manifestazioni unitarie che hanno coinvolto ancora una volta studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo al’indomani dell’approvazione del decreto, e le decisioni maturate sabato 8 novembre nell’assemblea nazionale di Firenze, confermano come, al di là dei cedimenti dei partiti di opposizione, il movimento sia più vivo che mai e possa rendere ancora assai critica la prossima fase di ratifica da parte del parlamento di quanto deciso ieri dal governo. La domanda di giustizia sociale e di futuro espressa in questi giorni dagli studenti medi ed universitari e da molti docenti, di fronte ad una crisi economica senza precedenti, va ben oltre le misure tampone decise dal governo. E’ forte la determinazione del movimento degli studenti e dei docenti medi ed universitari di collegarsi alle altre aree di conflitto ed alle realtà organizzate di lavoratori, pensionati, migranti e precari in lotta in questo periodo. Una determinazione che si dovrebbe tradurre presto in una mobilitazione unitaria, verso lo sciopero generale, soprattutto in occasione della discussione della legge finanziaria e dei provvedimenti collegati.
Fulvio Vassallo Paleologo
Giurisprudenza - Università di Palermo

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