Giovani Comunisti/e circolo "Peppino Impastato" Partinico (PA)

martedì 25 novembre 2008

La mafia è ancora forte: bunker-poligono a Palermo

di Gianluca Ricupati su www.agoravox.it

L’ultima di una serie di scoperte degli agenti di polizia ha lasciato tutti a bocca aperta. Un bunker, probabile rifugio di latitanti mafiosi, attrezzato addirittura di un poligono di tiro. È quanto si è trovata davanti la polizia del commissariato di San Lorenzo di Palermo, durante una delle tante perquisizioni ai danni di un sospetto spacciatore di cocaina nel quartiere Zen del capoluogo siciliano.

Droga e denaro, incasso delle vendite, erano già sicuri di trovarli i poliziotti protagonisti dell’azione, ma quello che di certo non si sarebbero mai aspettati era che una chiave ritrovata al primo piano dell’appartamento di via Agesia di Siracusa sarebbe servita ad aprire una porta blindata che dava accesso ad un vero e proprio bunker. Uno stretto cunicolo largo appena un metro e lungo 10 permetteva l’accesso ad un’area attrezzata come poligono di tiro, dove probabilmente piccoli boss in erba hanno imparato a sparare e vecchi boss affermati (magari latitanti) hanno allenato la mira per non perdere l’abilità di utilizzo di armi da fuoco. Il tutto, dall’appartamento al cunicolo, dal box blindato al bunker-poligono, colmo di droga e munizioni, oggetto della denuncia perpetrata ai danni del 29enne Antonino Grimaldi. Il giovane dopo l’arresto dei Lo Piccolo, ritenuti i feudatari anche del quartiere Zen, sarebbe avanzato di grado passando da semplice pusher a fornitore di cocaina dell’intera zona. Secondo gli inquirenti, l’ipotesi di alloggio di appartenenti a Cosa Nostra all’interno del rifugio scovato sarebbe alquanto probabile vista la vicinanza dell’arrestato a Fabio Chianchiano, uno dei bracci forti del clan Lo Piccolo.
La clamorosa scoperta è solo l’epilogo di una serie di sequestri di armi e munizioni che si susseguono di giorno in giorno nel capoluogo siciliano e nell’intera isola e che ormai non fanno nemmeno più scalpore. Pistole con matricola abrasa e munizioni in quantità militare sono per Cosa Nostra ciò che il pane rappresenta per noi, comuni ma fieri e onesti mortali.
Come contestualizzare una notizia di tale spessore? Dall’arresto di un 29enne emerge l’idea che la mafia si stia riorganizzando e che lo stia facendo attraverso l’arruolamento di tanti giovani “picciotti”, pronti ad entrare nelle file di Cosa Nostra senza pensarci due volte. Le fiction hanno trasmetto loro l’immagine di un prestigioso ruolo dei vari capi dei capi? Questo non possiamo saperlo, però di sicuro adesso siamo più coscienti che le iniziative di formazione di coscienze legalitarie, soprattutto in determinati quartieri degradati di Palermo, sono ancora poche, troppo poche.
Dalla scoperta di bunker, poligoni, armi e munizioni invece emerge l’idea che la vittoria dello Stato sulla mafia rappresenti ancora un’utopia. Emerge anzi che i recenti colpi subiti dalla magistratura e dalle forze dell’ordine non hanno indebolito più di tanto le forze armate e vitali di Cosa Nostra. La mafia si presenta ancora come un nemico più che temibile. Nell’ultimo decennio ha per lo più dominato il volto silenzioso della mostruosa moneta mafiosa, ma adesso dopo i recenti cambiamenti al vertice della piramide mafiosa (ancora sconosciuti persino agli inquirenti) non si sa ancora quale sarà la prossima strategia dell’organizzazione. Comanderà il silente Matteo Messina Denaro o l’agguerrito Mimmo Raccuglia? Famiglie finora in crisi alla riscossa come i Vitale-Fardazza di Partinico e i Riina di Corleone o dominio di coloro che secondo i “pronostici” sono ritenuti i capi favoriti?

domenica 23 novembre 2008

VERGOGNA A COLORO CHE RICHIEDONO A TRAPANI AUTOBUS SOLO PER IMMIGRATI

Ecco a cosa porta la cultura xenofoba, portata avanti dal governo Berlusconi con gli esponenti della Lega Nord in testa. A pochi passi da noi, a Trapani, c'è chi richiede autobus separati per bianchi e neri. La denuncia è stata lanciata dall’eurodeputato di Rifondazione Comunista Giusto Catania, che ha chiesto l’intervento dell’Unione Europea denunciando episodi di “intollerabile xenofobia” e razzismo nel capoluogo siciliano. Secondo quanto riferito l’ATM, società che gestisce i mezzi di trasporto, avrebbe vietato l’accesso alle persone di colore proponendo di istituire bus riservati ai migranti e presidiati a bordo dalle forze dell’ordine.
Guarda il servizio del tg la7:



A fronte di notizie come queste sarebbe importante avviare una grande campagna di sensibilizzazione a favori di questi nostri fratelli, che vengono privati addirittura della loro dignità di esseri umani.
Durante l'estate avevamo proposto alla cittadinanza un incontro-dibattito sul tema della xenofobia, come primo passo verso una politica sociale partinicese di integrazione con le genti provenienti da terre non italiane. Il dibattito ebbe una buona partecipazione e riuscimmo pure ad avere un incontro con un immigrato ("rappresentante" della gente immigrata a Partinico dalla sua nazione) a Partinico. Poi l'invidia di qualche politico opportunista (in termini di consenso sociale e voti) che ci governa fece fallire il nostro progetto di libero e puro aiuto a questa gente, promettendo loro mari e monti. Comunque felici di veder qualcuno che li aiutasse (anche se solo per fare il "classico sgambetto" all'avversario politico), non ci restò che sperare. Ma a quanto pare, la nostra (e loro) speranza è rimasta pura illusione.
Perché non provare a creare un comitato no razzismo (al di là del partitismo, che scatena addirittura gelosie) qui a Partinico, con associazioni, mondo politico e sociale, gente libera e interculturale? Chi è con noi?

P.S. vorrei proprio sentire cosa ne pensano di questa politica berlusconiana i vari Campione, Giovia, Di Trapani, Rizzo Puleo, Bonnì, ecc ecc che questo governo sostengono. Che intervengano e soddisfino la mia curiosità!

Gianluca Ricupati

CIAO SANDRO!

CURZI: BERTINOTTI, DA PARTIGIANO A GIORNALISTA UNA STORIA AFFASCINANTE

''Sandro Curzi ci ha lasciati. Veniva dalla Resistenza. E' stato un comunista romano e in questo mondo, grande e popolare, ha vissuto intensamente. Questo mondo ha interpretato con una scelta di vita con la quale ha attraversato, da protagonista, il lungo e tormentato dopoguerra italiano. E' stato un uomo di parte, un partigiano aperto al mondo e agli altri, curioso anche degli avversari''.

Lo afferma l'ex leader di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti nel messaggio inviato alla famiglia di Sandro Curzi.

''E' stato un giornalista militante di lungo corso, ha attraversato esperienze vissute come tappe di un percorso aperto al futuro. Noi -prosegue Bertinotti- lo ricordiamo per vicinanza particolare come direttore della nostra 'Liberazione', ma il paese lo ricordera' come servitore leale e coraggioso del servizio pubblico radiotelevisivo per il quale ha lavorato con la passione e l'intensita' di sempre fino all'ultimo giorno.

Lo abbiamo sentito sempre vicino, gli abbiamo voluto bene.

Sandro Curzi ha combattuto la giusta battaglia, ora che la sua affascinante storia e' conclusa, gli sia lieve la terra.

A te Bruna, sua compagna di vita, alla sua cara Candida, un abbraccio forte dell'amico Fausto Bertinotti''

FERRERO: UN PRIVILEGIO AVERE NEL PRC IL GIORNALISTA E IL MILITANTE

La scomparsa di Sandro Curzi rappresenta un grande lutto per il giornalismo italiano e un grandissimo dolore per il Prc.

Viene a mancare una personalità straordinaria per sensibilità, capacità, carisma. Un uomo che ha dedicato la propria esistenza al lavoro di giornalista della carta stampata e radiotelevisivo. Per tutta la vita con la stessa, volitiva energia che lo ha visto sempre protagonista come operatore dell'informazione e direttore di testate, sino all'impegno come consigliere di amministrazione della Rai. Sempre realizzando la passione incontenibile per l'informazione e il giornalismo insieme a accanto a quella di militante comunista, traendone intelligenza e capacità critica.

Consideriamo un grande privilegio aver potuto lavorare insieme a lui, al suo amore per il giornalismo e al suo impegno politico, sia nella qualità di direttore che ha dato forza e valore a *Liberazione*, sia nella qualità di appassionato militante del partito.

Alla vedova e ai famigliari esprimo il cordoglio profondo e l'abbraccio pieno d'affetto mio personale e di tutto il Prc".

.: Ciao Sandro (Speciale di Liberazione) :.

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giovedì 20 novembre 2008

LEFT CINEFORUM - "LA ROSA BIANCA"

Vi chiederete: cos'è il left? Domanda lecita e pienamente giustificata. Usando poche parole, il LEFT è un nuovo luogo di discussione giovanile che noi Giovani Comunisti/e con tanti altri ragazzi/e della sinistra diffusa abbiamo fortemente voluto da tempo. Chiamiamolo un centro d'aggregazione giovanile. Lo descriveremo meglio nei prossimi giorni, intanto però vi invitiamo ad una delle prime iniziative organizzate.

PROIEZIONE FILM: “LA ROSA BIANCA”

"La rosa bianca" è una storia di coraggio assoluto, senza compromessi. Siamo a Monaco nel febbraio del 1943 durante il secondo conflitto mondiale: alcuni studenti universitari, riuniti sotto il segno della Rosa bianca, diedero vita a un piccolo movimento di opposizione al regime nazista, una resistenza fatta di parole, di slogan e di volantini. Cominciarono a diffondere clandestinamente voci di protesta e di condanna, in nome di un ideale di pace e di rispetto tra i popoli, chiedendo la fine dei massacri e degli inutili spargimenti di sangue.
PERCHÉ LA ROSA BIANCA? Oggi, a distanza di mezzo secolo da questa pagina nera della storia, la democrazia è in pericolo: viviamo tra censure e disinformazione. Un vero e proprio ricorso storico: anche questa volta rischiamo l’avvento di una tirannia, di una dittatura democratica. Se solo lo vogliamo, il futuro è nostro!

SIETE TUTTI INVITATI VENERDÌ 21 NOVEMBRE ALLE ORE 18

CENTRO GIOVANILE LEFT, via Lincon (traversa di Corso dei Mille, prima del commissariato di Polizia)

martedì 18 novembre 2008

Il sistema formativo rimandato al mittente. E il re denudato in una mossa

Il movimento non formula una controproposta a Gelmini, produce una analisi incarnata e aggiornata del capitalismo

I tecnici, gli esperti, i professionisti della tecnocrazia politica ed economica lascino il passo, hanno già fatto abbastanza danni. L'Onda travolge tutto. Rispecchia nel discorso ciò che produce nelle pratiche. I percorsi obbligati, questi sconosciuti all'Onda dei cortei, non sopravvivono nemmeno nel dispiegarsi dell'autoriforma dell'assemblea del 15 e del 16 novembre. Non sono serviti gli specchietti per le allodole di Gelmini, le accuse più deliranti, gli editoriali dei grandi giornali. L'onda non si ferma, anzi allarga il terreno del conflitto declinando quel "noi la crisi non la paghiamo" che ha letteralmente invaso il paese. Eccoli i bamboccioni di Padoa Schioppa e i fannulloni di Brunetta. Sono quelli espropriati e impoveriti di tutto proprio mentre producevano le risorse fondamentali di questo malato sviluppo economico: conoscenza, ricerca, comunicazione, innovazione tecnologica. Questi bamboccioni e fannulloni sono l'intera filiera produttiva cognitiva. I preferiti nei discorsi di politici, economisti, imprenditori. Maestri, insegnanti, studenti che nella retorica politica "hanno in mano le chiavi del futuro" e a cui quelle chiavi andavano velocemente e ipocritamente sottratte.Troppo pericoloso per chi preparava il terreno a questo capolavoro di sviluppo che oggi affoga nell'indebitamento e nella speculazione finanziaria pretendendo di affogare in primis chi con la propria ricchezza gli ha permesso di vivere fin qui. La verità è che questa generazione di studenti, dottorandi, ricercatori ha pagato la maturazione e lo sviluppo di questa crisi economica. Per alimentare il sistema finanziario ed economico che l'ha prodotta a questa generazione è stato negato il desiderio e il piacere come spinta alla conoscenza, è stata distrutta ogni aspettativa rispetto al proprio futuro, è stata imposta un'ipocrita meritocrazia di censo e di parte, sono stati propinati saperi scadenti e frammentati, precariato, controllo, disciplinamento, criminalizzazione e perfino dileggio.Tanto basta per mandare tutto alle ortiche e tentare di riprendersi le chiavi. E infatti l'autoriforma dell'onda non è una controproposta, non è un testo di legge da presentare al parlamento. E' invece un programma di trasformazione, cambiamento e conflitto. A chi in questi due mesi ha scritto e pensato, da destra e da sinistra, che questo movimento difendesse l'istruzione pubblica e statale che c'è, che difendesse i baroni e lo status quo di una scuola e un'università in rovina, che più banalmente questo movimento giocasse in difesa e conservazione attestandosi sulla barricata vertenziale del ritiro della legge 133, viene da dire una cosa sola: leggete i documenti introduttivi e finali dall'assemblea nazionale di sabato e domenica scorsi.A essere rispedito al mittente è praticamente l'intero sistema formativo così come è stato configurato da circa vent'anni di riforme, provvedimenti e finanziarie: i tagli delle risorse, il 3+2, il prestito d'onore, la trasformazione in fondazioni private, i numeri chiusi, gli stage e i tirocini gratuiti, la parcellizzazione degli esami, i grembiulini e i voti in condotta, i concorsi truccati, il baronaggio, la valutazione "aziendale" della qualità della didattica e dei servizi, i contratti precari e il blocco del turn over e così via. E questo è già tanto da imparare per tanta sinistra, ma è poco rispetto a quello che è realmente in campo. In campo infatti c'è tutto: dal welfare alle forme della politica e della democrazia. In campo c'è un'analisi incarnata, aggiornata e contemporanea del capitalismo. Leggere con attenzione non fa male e chi vuol intendere intenda. Intenda per esempio che l'autoriforma, che a partire da queste due giornate costruirà un lungo processo costituente di cambiamento e di conflitto, sa meglio di chiunque altro come costruire un'università e una scuola pubbliche, libere dal controllo statale e del mercato. E sa anche come riprendersi tutto, come declinare il terreno della precarietà, del lavoro e della sua organizzazione.Interroga la contemporaneità dell'esperienza viva e smette di ricercare nel passato la soluzione dei problemi del presente. Chiede il reddito come proposta di superamento dei vecchi e ormai disfatti strumenti del diritto allo studio (diretto, in forma di erogazione monetaria e indiretto, in forma di servizi come casa, trasporti, accesso alla cultura) come redistribuzione della ricchezza che è stata sottratta. Non è un caso se alla convocazione dello sciopero generale della Cgil per il 12 dicembre se ne affianca un'altra, quella del movimento, per uno sciopero generalizzato: un intreccio e un dialogo che non è ne una subordinazione né tantomeno un'affidamento. L'opposizione sociale si dispiega e non lo fa banalmente: realizza l'abbattimento di tutti gli steccati classici della rappresentanza. Steccati che non possono più reggere ora che la crisi economica squaderna davanti a noi chiare connessioni e mescolanze sul terreno delle nuove figure del lavoro e dei processi produttivi. L'onda ha denudato tutto con una sola mossa facendo quello che nessun partito d'opposizione era riuscito a fare con le proprie manifestazioni, tutte all'insegna dell'autorappresentazione nella crisi: divellere il consenso diffuso intorno al decisionismo securitario su cui il governo Berlusconi aveva prevalso alle elezioni e impostato quest'inizio di legislatura. E' con questo che tutti, a destra e a sinistra, hanno dovuto fare i conti. E' per questo che l'irrapresentabilità è oggi l'unico terreno possibile in questo tempo e in questo spazio di ricerca aperta e di costruzione di senso diffuso, non "fuori dalla politica" ma invece al suo cuore che è la parola e l'agire collettivo. A sinistra, almeno, sarebbe bene intenderci.

Elisabetta Piccolotti (portavoce nazionale Giovani Comunisti/e)

.: Speciale Onda :. I1I I2I I3I

sabato 15 novembre 2008

On Di Pietro, lei si vergogna almeno un pò?

MASSACRO ALLA DIAZ
Piero Sansonetti (direttore http://www.liberazione.it/)

Gesù li chiamava «Sepolcri imbiancati». Si riferiva alle classi dirigenti di quell'epoca, in Palestina: agli scribi e ai farisei. Diceva che erano gran signori di fuori e orribili di dentro («pieni di ossa di morto»), diceva che erano ipocriti.L'uscita di ieri dell'on Di Pietro a proposito della «mattanza cilena» compiuta a Genova, nel luglio del 2001, da polizia e carabinieri, che uccisero un ragazzo di 22 anni, ne ferirono in modo grave centinaia, ne torturarono decine e decine prima all'interno della scuola Diaz e poi della caserma di Bolzaneto e di altre caserme, l'uscita spavalda di di Pietro - dicevamo - fa pensare proprio a quella parabola del Nazareno: sepolcri imbiancati.Chi è Di Pietro? L'esponente della maggioranza di centrosinistra che dal 2006 al 2008 si è opposto con tutte le sue forze (e con successo) alla richiesta della sinistra di istituire una commissione parlamentare di inchiesta che facesse chiarezza sul comportamento di polizia e carabinieri. L'opposizione di Di Pietro fu quella decisiva: impedì che la commissione fosse formata. Di Pietro sosteneva che non c'era bisogno di nessuna iniziativa parlamentare perché bisognava avere fiducia nella magistratura, che avrebbe chiarito ogni ombra. Bene: ieri Di Pietro - dopo la sentenza assurda che manda assolti i vertici della polizia - senza neanche scusarsi per il disastro combinato negli anni scorsi con il suo atteggiamento da uomo di ferro della magistratura e della polizia, ha chiesto lui una commissione inchiesta, sapendo benissimo che il centrodestra non la concederà, e ora ha i numeri per non concederla, e che il rischio di una inchiesta del Parlamento non esiste. A me sembra che l'atteggiamento di Di Pietro ponga all'ordine del giorno una vistosa, clamorosa, drammatica questione morale. Tradisce una idea di politica come manovretta, calcolo, trasformismo, urlo finto, mascherata, che forse è l'espressione più alta del degrado della politica che sta dilagando in molte zone del parlamento e in molti partiti. In nessuna zona del parlamento, però, dilaga con l'evidenza e l'arroganza della quale è capace Di Pietro.
Perché nel biennio 2006-2008, quando il centrosinistra aveva i numeri per imporre questa commissione, Di Pietro si oppose così strenuamente? Perché una parte del mondo politico di centrosinistra - del quale lui è espressione - ritiene che sia pericoloso far risultare le colpe molto gravi dei vertici della polizia e dei carabinieri in quelle giornate infuocate durante le quali - come ebbe a dire Massimo D'Alema - la democrazia in Italia fu sospesa. La sinistra chiedeva con insistenza la commissione di inchiesta per il motivo opposto: voleva che uscissero fuori le responsabilità vere, quelle di chi aveva diretto e comandato l'operazione folle di Genova. Non solo per ottenere la punizione dei colpevoli (cosa alle quale, personalmente, sono pochissimo interessato: meno gente si punisce, in generale, e meglio è) ma perché fosse chiara la condanna morale e per impedire che l'impazzimento di Genova si ripeta, e si ripeta la sospensione dello Stato di diritto.La richiesta di Di Pietro, comunque, è stata già respinta dalla destra. E questo è naturale. La destra, coerentemente, ha sempre detto che la polizia non si tocca e si è sempre opposta a inchieste parlamentari. Piuttosto, stupiscono le motivazioni del rifiuto. Il ministro Alfano, per esempio, ha detto che le sentenze della magistratura non si discutono. Ammetterete che una affermazione del genere, pronunciata da uno degli uomini di fiducia di Berlusconi, suona curiosa. Ignoriamo il momento nel quale Berlusconi ha deciso che la magistratura è un potere affidabile...

Meno male che ci sono loro.........

300 mila studenti sfilano a Roma. Arrivano al parlamento. Hanno idee, allegrezza e voglia di lottare
Stefano Bocconetti http://www.liberazione.it/
La serietà dei professori. Forse l'eccesso di serietà dei professori e dei ricercatori del Cnr. Neanche scalfita dalle musiche che mettevano a loro disposizione. Poi, l'incoscienza e l'ingovernabilità degli studenti medi. Costretti a restare fermi, a piazza Esedra, per ore e quindi «dispersi» in mille rivoli. Tanti ma forse meno che in altre occasioni. E poi loro, gli universitari, i ragazzi e le ragazze di tutta Italia. Gli studenti delle facoltà, i ricercatori. Un numero impressionante. La Questura - che a volte dimezza, a volte divide per dieci - ieri diceva che erano centomila. Comunque un fiume ininterrotto che ha sfilato dalle nove e mezza al pomeriggio inoltrato. Un fiume, un'onda appunto, che ha attraversato la città, ha «assediato» simbolicamente Monteciorio. Oppure s'è seduto in segno di protesta davanti al ministero della Pubblica Istruzione. O davanti al Senato. O ha fatto mille altre cose. Metti insieme tutti questi elementi ed ecco la giornata di mobilitazione dell'università di ieri.
Giornata indetta dal sindacato, da un «pezzo» del sindacato, visto che la Cisl - coerente con gli impegni presi alla cena informale a Palazzo Grazioli - alla fine s'è sfilata e ha revocato l'adesione allo sciopero. I dati raccontano però che dappertutto le percentuali di adesioni sono altissime. Al punto che Epifani dirà che «tante altre volte hanno provato ad isolare la Cgil, ma non ci sono mai riusciti». Neanche stavolta.Una giornata indetta dal sindacato, si diceva. Ma che è diventata enorme, che s'è trasformata, grazie all'irruenza dell'«onda», del movimento giovanile contro la Gelmini. Irruenza è la parola giusta. Il corteo - era stato concordato con la Questura - sarebbe dovuto partire di mattina presto con destinazione piazza Navona. E' partito due ore e mezza dopo, ogni tanto si fermava, aspettava le delegazioni che nel frattempo sbucavano dalle vie laterali. Ha cambiato percorso, è arrivato a Largo Chigi, nella «casa» del governo. Senza un attimo di tensione. Il tutto mentre tante altre parti del «movimento» raggiungevano altri palazzi, altri palazzi della politica.La giornata, l'immensa - e per una volta si può dire: incalcolabile, almeno dal punto di vista dei numeri - manifestazione di Roma ha cambiato di segno, insomma, in corsa d'opera. Per rendersene conto bastava guardare i cortei, che - almeno sulla carta - ad un certo punto avrebbero dovuto riunirsi e percorrere insieme l'ultimo tratto di strada. Aprivano i professori, il personale docente e non docente delle università. Con loro anche i rappresentanti dei partiti che condividevano le ragioni dello sciopero. Si sono visti Ferrero, Bertinotti, Claudio Fava, qualche altro. Nessuno del piddì. Un po' di bandiere della Cgil, due - esattamente due - della Uil. Uno spezzone di corteo silenzioso, senza slogan. Che qualcuno, dal camion che li precedeva, ha provato a ravvivare diffondendo la musica di Bob Marley, senza molti risultati. Poi, tenendosi debitamente a distanza è passata l'onda. Sono arrivati gli studenti. Che hanno affidato a tanti segnali il racconto del loro movimento. Aprivano ragazzi e ragazze sandwich, che sui cartelli di gommapiuma - che magari sarebbero stati buoni anche per proteggersi dalle manganellate della polizia - non portavano parole d'ordine. Ma i titoli di centinaia di libri: dall'«Inferno» di Dante a «Sulla Strada» di Kerouac, passando per «Morte di un commesso viaggiatore» di Miller. Erano in piazza per difendere il loro diritto a leggerli. A conoscerli.Poi, l'ironia dei ricercatori di Firenze. Con uno striscione che ormai ha fatto scuola: «Berlusconi, senza la ricerca non avresti i capelli». O quella dei ragazzi di Potenza, di Cassino. «Se pensate che la conoscenza vi costi troppo, provate con l'ignoranza». E poi i giovani di Medicina di Milano che sfoggiavano enormi forbici, o quelli di ingegneria di Palermo e di Cagliari. O di Genova. Che esponevano strani striscioni con sù disegnati palazzi sbilenchi. Con una didascialia: «Senza sapere ci rimettiamo tutti». E ancora: i ragazzi e i professori di Frosinone. Semplici: «Siamo ad un millimetro dal baratro. Il decreto Gelmini è un deciso passo in avanti». Il tutto senza neanche una bandiera di partito. Anche qui, al massimo uno o due vessilli. Per il resto una marea di altre bandiere, alcune anche incomprensibili (ce n'era una giallo, rossa e nera, punteggiata di blu). Senza simboli. O meglio, senza simboli conosciuti nelle tradizionali manifestazioni. Nel tradizionale mondo della politica. Eppure, dai megafoni - che a tanti è sembrato l'unico legame con altre stagioni -, improvvisati speaker parlavano di politica. Denunciavano sprechi, denunciavano con una precisione ossessiva perché anche l'ultima versione del decreto Gelmini sull'università è distruttivo. Discorsi neanche troppo lunghi, di facile presa. Comprensibili. Discorsi che su ogni punto, su ogni taglio deciso dalla Gelmini, indicavano una controproposta. Discorsi che tutti insieme, insomma, delineavano una vera riforma dell'università. Che comincia però col rifiuto dei tagli del governo. Discorsi che si univano con tante, altre riflessioni. Sul fatto che il «movimento» sta reggendo un po' ovunque, anche se le forme dell'opposizione sono le più diverse. Sul fatto però che il «no» alla Gelmini non potrà vivere solo di appuntamenti romani. Riflessioni che continueranno oggi, quando a Roma faranno il punto su come andare avanti. Riflessioni che sono riusciti a spostare qualcosa? L'effetto sul governo si vedrà. Ieri, però, mentre sfilavano da un balcone di un palazzo è apparso uno striscione. Scritto a mano: «Ragazzi siete l'ultima speranza». E allora, in qualche modo, quell'enorme serpentone di ragazzi e ragazze ha già pagato.

L'ipocrisia delle "novità" introdotte dalla ministra Gelmini

Pubblico un interessante documento scritto da Fulvio Vassallo Paleologo della facoltà di Giurisprudenza di Palermo, che è pervenuto alla mia casella email. Chi vuole approfondire anche nei dettagli le menzogne del ministro Gelmini, lo legga attentamente!
G.R.
I FATTI E LE MENZOGNE : VERSO LA DISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ PUBBLICA
Il Governo ha fatto ricorso all’ennesimo decreto legge, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 77 della Costituzione, questa volta per sedare la rivolta scoppiata negli atenei contro i tagli previsti per la spesa universitaria, il blocco sostanziale del turn-over dei docenti, la privatizzazione progressiva del sistema universitario nazionale. Obiettivo dell’intervento del governo - che si articolerà anche in altri provvedimenti o linee guida che dovranno essere emanati per la governance degli atenei, per la valutazione, per lo stato giuridico, per il dottorato ed il reclutamento - è stato innanzitutto quello di contrastare il brusco calo di consensi registrato nei sondaggi durante le settimane della protesta studentesca e dividere il fronte dei docenti dagli studenti. Ancora una volta, con misure che appaiono preordinate più a sortire un “effetto annuncio” che a risolvere i problemi che affliggono l’università italiana. Sarebbe stato semmai necessario e urgente intervenire con un decreto legge per restituire alle università tutte le risorse sottratte dalla legge 133, e riportare la spesa per le università italiane alla media europea, riservandosi poi di intervenire con una legge ordinaria sullo stato giuridico dei docenti, sulle procedure di reclutamento e sugli strumenti concorsuali per la progressione delle carriere. Con l’intervento sui concorsi si innescano anche all’interno delle diverse fasce docenti false prospettive di progressione di carriera, per tentare di dimostrare poi agli studenti la natura “corporativa” della mobilitazione dei professori e dei ricercatori.
Il provvedimento adottato dal governo il 6 novembre “restituisce” ai rettori, ma solo agli atenei “virtuosi”, una parte dei tagli operati con la legge 133 approvata nell’agosto di questo anno, ed accorda 200 milioni di euro per il 2009, al fine di garantire il diritto allo studio universitario, attraverso alloggi, residenze, borse di studio. Nessuna modifica dei tagli previsti a partire dal 2010 e per gli anni successivi dalla legge 133 che sottrae agli atenei italiani una media di trecento milioni di euro per anno. Tutto questo mentre oggi, secondo dati OCSE la spesa annuale per studente è di 12.446 dollari in Germania, di 10.995 dollari in Francia e soltanto di 8.026 dollari in Italia. Non si comprende come la Conferenza dei Rettori (CRUI) possa ritenersi soddisfatta del decreto legge dopo che aveva richiesto “una urgente riconsiderazione delle condizioni finanziarie determinate dai recenti provvedimenti del governo che porterebbero a situazioni del tutto insostenibili per l’intero sistema a partire dal 2010”. Un ennesimo cedimento che spiana la strada ai provvedimenti adottati dal governo, dopo che già lo scorso luglio, era bastato che il ministro Gelmini annunciasse un tavolo di confronto ( poi mai partito) per fare rientrare la protesta dei rettori prima dell’approvazione della legge taglia-fondi 133, poi avvenuta il 4 agosto, quando le università si erano ormai svuotate.
Punto centrale del decreto legge è la revisione del sistema di reclutamento dei docenti e dei ricercatori. Un sistema che, attualmente, funziona in base a una vecchia normativa, ripristinata in seguito alla mancata applicazione della legge Moratti (n. 230/2005) e alla bocciatura da parte della Corte dei Conti del disegno di riforma messo a punto successivamente dall'ex ministro Fabio Mussi. Le ultime decisioni dell’esecutivo, subito accolte con sollievo dal Presidente della Repubblica, che ha ritenuto di nuovo aperto un canale di dialogo tra maggioranza ed opposizione, hanno avuto un effetto immediato. Diversi Rettori hanno espresso la loro valutazione favorevole e si sono detti disponibili ad aprire un confronto. Vedremo presto quali saranno i “frutti” di questo rinnovato “clima di confronto”. Anche i rappresentanti del principale partito di opposizione hanno espresso il loro compiacimento per quello che considerano come un successo della protesta di queste settimane, riservandosi di entrare nel merito del testo del decreto dopo la sua pubblicazione, come se le concessioni “elargite” dal governo sui finanziamenti e sulle linee guida per i futuri interventi sull’università costituissero l’inizio di una fase di trattative in vista di una riforma organica. I vertici amministrativi hanno tirato un sospiro di sollievo perché le misure adottate dal governo consentivano loro di “tirare a campare” ancora per un anno. Come se non fosse scontato, anche alla luce dei dati diffusi dal ministero che a partire dal 2010, se i tagli imposti da Tremonti venissero confermati, l’intero sistema universitario nazionale si avvierà verso il blocco di interi corsi o la chiusura degli accessi, in ogni caso con un aumento vertiginoso delle tasse universitarie. E lo sblocco del turn-over appare una misura più fittizia che reale. Per ora sono in sette ma già dal prossimo anno, e soprattutto dal 2010, il gruppo degli atenei colpiti dal decreto legge blocca-concorsi potrebbe crescere considerevolmente ad oltre la metà degli atenei italiani. A medio e lungo termine il numero dei docenti universitari sarà comunque dimezzato ( o quasi) e questo dato comporterà una riduzione indiscriminata dell’offerta didattica e delle attività di ricerca con una ulteriore perdita di competitività del sistema universitario nazionale.
Il decreto legge varato dal Governo blocca dunque il reclutamento di ricercatori, associati e ordinari nelle università che dedicano agli assegni fissi per il personale più del 90% del fondo statale, dopo anni di continue riduzioni del fondo di funzionamento ordinario (FFO). La situazione di questi atenei non poi tanto lontana da quella della maggioranza delle sedi universitarie. L’effetto di blocco della misura viene oggi ( ma non si sa quanto domani) ad interessare un numero ridotto di atenei (in rosso), mediante l’adozione di particolari correttivi che ne salvano altri già in gravi difficoltà, tenendo conto della presenza dei policlinici universitari a gestione diretta. Secondo il Sole 24 ore, “fino al 2008. Il conteggio del rapporto fra spese di personale e Fondo statale è stato ogni anno alleggerito da una serie di correttivi in favore degli atenei, tra cui spicca quello che impone di conteggiare per 2/3, e non per intero, il personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale nelle facoltà di medicina. Senza lo "sconto", a sforare il tetto sarebbero in 26, tra i quali anche l’Ateneo di Palermo, cioè quasi la metà dei 58 atenei statali, e poi in pratica quasi tutte le università dovrebbero bloccare le procedure concorsuali. Una prospettiva che non è comunque scongiurata, secondo i diretti interessati: «I concorsi – secondo Augusto Marinelli, rettore di Firenze – devono avere una copertura pluriennale, per cui nei fatti lo stop ai concorsi scatterà per moltissimi già il prossimo anno». Nel 2010, infatti, il fondo ordinario dovrebbe essere ridotto di 659 milioni, attestandosi intorno ai 6,8 miliardi, e nel 2011 dovrebbe scendere verso i 6,2. Ovvio che, diminuendo l'estensione della base di calcolo, il peso percentuale degli stipendi cresce proporzionalmente”.
Il decreto legge approvato il 6 novembre dal governo non risolve i problemi finanziari delle università e si inquadra all’interno di una logica di sottofinanziamento delle università pubbliche a tutto vantaggio degli enti universitari privati, che proprio in questi giorni hanno intensificato le loro campagne pubblicitarie. Come si osserva in un recente articolo del Sole 24 ore “oltre all'analisi dei tagli agli atenei contenuti nella Finanziaria per il 2009, c'è anche quella degli importi assegnati alla missione "Istruzione universitaria" dal disegno di legge di bilancio per il prossimo anno. Nella missione "Istruzione universitaria", divisa in 3 programmi, la dotazione è di 8.549,3 milioni di euro per il 2009, 7.844,5 milioni per il 2010 e 7.037,5 milioni per il 2011. La prima tabella, elaborata su dati del Servizio studi della Camera, nasce dal confronto tra gli importi assegnati a ogni programma con quelli del triennio successivo, dove verificare le riduzioni rispetto alle previsioni assestate di bilancio 2008, che escludono i tagli derivanti dai Dl 93/08 (Ici) e Dl 112/08 (manovra d'estate). Le riduzioni più forti contenute nel ddl di bilancio per il 2009 sono concentrate nel programma sistema universitario e formazione post-universitaria, che scende verticalmente da poco più di 8mila milioni di euro a 6.496,5 milioni nel 2011 (meno 1.645,5 milioni di euro). Negli importi assegnati dal ddl bilancio per il diritto allo studio, dove si concentrano i fondi per borse di studio, prestiti d'onore, contributi per alloggi , residenze e collegi universitari e attività sportiva, si registra un calo che supera il 60% nel 2011 rispetto alle previsioni assestate 2008. Di fronte a questo dato i duecento milioni di euro accordati dal decreto per il diritto allo studio sono soltanto un palliativo.
Sono proprio i tagli programmati complessivamente per i prossimi anni, confermati ancora una volta, che rendono del tutto strumentale la concessione delle risorse apportate dal decreto legge approvato dal governo il 6 novembre scorso. Un vero e proprio contentino per calmare le acque, portare in approvazione il decreto legge sotto Natale, quando le università si saranno svuotate, e garantire agli atenei la sopravvivenza per un anno. Non stupisce dunque la risposta negativa del movimento degli studenti e dei docenti riuniti a Firenze sabato 10 novembre.
Studenti e docenti sanno ormai che contro il disegno di dismissione dell’università pubblica, condiviso dal governo e da buona parte dell’opposizione, che ha aperto anche sulla possibilità della trasformazione delle università in fondazioni, l’unica strada praticabile a questo punto rimane l’autoriforma dal basso dell’università, mantenendo alta la mobilitazione, a partire dalla pratica di una nuova didattica, con una diversa fruizione dei tempi e degli spazi, ma anche moltiplicando le occasioni di controllo democratico e di denuncia della gestione amministrativa degli atenei, del reclutamento e delle carriere..Occorre anche costruire a livello locale occasioni autogestite di incontro con il mondo per lavoro e con le associazioni del terzo settore per costruire nuovi percorsi per il passaggio ( nei due sensi) dalla fase della formazione alla fase dell’impegno lavorativo.
Di fronte ad una situazione di emergenza, questa si vera emergenza, prodotta progressivamente negli anni passati e aggravata di un colpo dai provvedimenti di taglio delle risorse adottati dal governo con a legge n.133 del 4 agosto 2008, il ministro Gelmini sostiene adesso necessario il ricorso alla decretazione d'urgenza per modificare le procedure dei concorsi universitari già banditi, ma per i quali non si è ancora formata la commissione a seguito dell’espletamento delle procedure elettorali. Una argomentazione che contrasta non solo con l’art. 77 della Costituzione, ma con il principio di parità dettato dall’art. 3 e con il principio di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, affermato dall’art. 97 della Costituzione. Un intervento su concorsi già banditi, per i quali i candidati hanno già presentato domanda, mentre sono in corso le procedure per la selezione dei commissari appare infatti lesivo degli interessi dei concorrenti, della parità di trattamento, e del principio di buona amministrazione, differenziando i candidati alle diverse valutazioni comparative indette con lo stesso bando, sulla base del momento di formazione della commissione concorsuale, e dunque foriero di un vasto contenzioso amministrativo che rallenterà o bloccherà del tutto l’iter concorsuale in numerosi settori disciplinari ad elevata conflittualità. Secondo Andrea Lenzi, presidente del Cun, il Consiglio universitario nazionale, «ciò significherebbe rinviare le comparazioni valutative per le progressioni di carriera di circa 20mila ricercatori e altrettanti associati».
La soluzione inventata all'ultimo minuto in Consiglio dei Ministri sulla formazione delle commissioni nei concorsi ad ordinario e ad associato, ripescando l’elezione di una “rosa” ( seppure allargata) di commissari da eleggere prima del sorteggio, mantiene in capo alle oligarchie accademiche tutti i poteri di cooptazione che hanno prodotto la “parentopoli” universitaria, ancora una volta modificando tutto in apparenza, senza mutare niente nella sostanza. Le modifiche apportate in extremis al decreto riproducono il sistema esistente con modifiche marginali ed eliminano comunque ogni residuo fondamento allo 'stato di emergenza' invocato dal Ministro Gelmini per giustificare il ricorso allo strumento del decreto-legge sui concorsi già banditi, in quanto si prevedono procedure il cui espletamento potrebbe durare ancora più a lungo di quelle attuali, senza alterare, anzi accentuando la “logica di scambio” tra i diversi gruppi nella fase del reclutamento. Come osserva un recente documento dell’ANDU “ quanto approvato non cambia nulla rispetto alle norme attuali. Fino ad oggi la commissione veniva composta dal membro interno (colui al quale era stato 'assegnato' il posto per poterlo 'girare' al suo allievo) e lo stesso membro interno invitava quattro colleghi, per i posti a professore, e due, per i posti a ricercatore, a candidarsi per farsi eleggere nella commissione. Da domani, invece, il membro interno chiederà a dodici colleghi, per i posti a professore, e a sei colleghi, per i posti a ricercatore, di candidarsi per farsi eleggere nella rosa da cui sorteggiare i quattro (e due) membri della commissione”. Con i poteri di controllo su scala nazionale che hanno consolidato i gruppi baronali che controllano tutti i settori disciplinari, continuerà ad essere un giochino assai facile pilotare le elezioni per rendere inefficace l’esito, qualunque sia, della successiva fase del sorteggio. Sembrerebbe che a questo “cambiare tutto per non cambiare nulla” abbiano dato il loro contributo anche il ministro Brunetta ed il solito Gianni Letta, braccio destro di Berlusconi. C’è sempre qualcuno, evidentemente, che provvede a coprire le malefatte di quelli che poi chiamano “baroni”, per disorientare gli studenti e farli cadere nella trappola delle presunte strumentalizzazioni che si denunciano la mattina e si praticano la sera.. Sembra dunque assai appropriato il commento di Giuliano Cazzola del Pdl: "Si complicano le procedure senza mutarne la sostanza".
L’allungamento dei tempi delle procedure concorsuali avrà conseguenze devastanti anche a fronte della conferma dei tagli previsti per i fondi di funzionamento ordinario (FFO)a partire dal 2010. Per molte università i concorsi banditi con le nuove regole, o quelli bloccati in attesa di ricomporre le commissioni con le nuove regole, potrebbero essere anche gli ultimi concorsi prima di sprofondare nel limbo degli atenei in rosso, esclusi per questo dalla possibilità di bandire anche un solo posto. Un effetto che non sarà certo impedito dall’alleggerimento del blocco del turn-over, e che si produrrà anche qualora gli atenei volessero ( o meglio fossero costretti a ) trasformarsi in fondazioni a causa dei tagli ai finanziamenti e della durata e della complessità delle procedure previste per questa fase. Un eventuale scorporo dei policlinici, facendo cadere i fattori correttivi più favorevoli, potrebbe fare precipitare il rapporto tra spesa complessiva e spesa per gli stipendi, portando alla paralisi anche gli atenei che oggi si sentono al sicuro ( almeno per il prossimo anno). Gli atenei siciliani, nell’incerta prospettiva di scorporo dei policlinici universitari, con le università di Catania e Messina già al centro di indagini da parte della magistratura, potrebbero pagare un prezzo altissimo per effetto delle misure adottate o annunciate dal governo.
La protesta universitaria di queste settimane, a Palermo come nel resto d’Italia, non ha intaccato il diritto allo studio di quanti sono iscritti ai corsi universitari, come si è voluto fare credere per delegittimare le ragioni della protesta. Saranno invece le scelte di Tremonti, Brunetta e della Gelmini, autentici referenti politici di quella che è stata definita la “maggioranza silenziosa” degli studenti (che non ha partecipato alle iniziative di protesta rivendicando la esigenza di proseguire con la didattica quotidiana), che “chiuderanno” le università nei prossimi anni, determinando in molti corsi le condizioni per il blocco delle attività didattiche, la reintroduzione del numero chiuso ed un aumento incontrollabile dei costi necessari per iscriversi all’università. A tutto vantaggio delle università private e di quanti vi potranno ancora accedere.
Le manifestazioni unitarie che hanno coinvolto ancora una volta studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo al’indomani dell’approvazione del decreto, e le decisioni maturate sabato 8 novembre nell’assemblea nazionale di Firenze, confermano come, al di là dei cedimenti dei partiti di opposizione, il movimento sia più vivo che mai e possa rendere ancora assai critica la prossima fase di ratifica da parte del parlamento di quanto deciso ieri dal governo. La domanda di giustizia sociale e di futuro espressa in questi giorni dagli studenti medi ed universitari e da molti docenti, di fronte ad una crisi economica senza precedenti, va ben oltre le misure tampone decise dal governo. E’ forte la determinazione del movimento degli studenti e dei docenti medi ed universitari di collegarsi alle altre aree di conflitto ed alle realtà organizzate di lavoratori, pensionati, migranti e precari in lotta in questo periodo. Una determinazione che si dovrebbe tradurre presto in una mobilitazione unitaria, verso lo sciopero generale, soprattutto in occasione della discussione della legge finanziaria e dei provvedimenti collegati.
Fulvio Vassallo Paleologo
Giurisprudenza - Università di Palermo

martedì 11 novembre 2008

UNIVERSITA', DAL GOVERNO TANTE PAROLE MA NULLA DI FATTO

di Fabio de Nadis, Responsabile naz. dip Università e Ricerca Prc

Il Decreto legge recentemente approvato fa emergere le difficoltà del Governo rispetto alle grandi mobilitazioni di queste settimane mostrando come il conflitto serva e che la lotta per la tutela dell’università pubblica debba proseguire senza cedimenti, anche perché nessuna risposta viene data rispetto alle grandi questioni sollevate dall’Onda. Il governo, con la complicità del partito democratico che ha deciso di vestire il ruolo di mediatore di conflitto, mostra i primi segni di cedimento e scommette sulla smobilitazione attraverso un provvedimento fantoccio in cui, dietro la parvenza di alcune piccole concessioni, mantiene solido l’impianto regressivo presente nella legge 133 che deve essere seplicemente ritirata. Prevedibile la reazione accondiscendente della finta opposizione parlamentare e di alcuni rettori che fin dall’inizio hanno vissuto con imb arazzo il ruolo di agenti di conflitto e trovano oggi il pretesto per tirarsene fuori.Nel decreto si confermano i tagli. Questo porterà gran parte degli atenei a sforare i vincoli di bilancio nei prossimi tre anni facendo scattare quasi ovunque il blocco di fatto delle assunzioni con ricadute gravi su didattica e ricerca. Permane inoltre la possibilità, che per alcuni atenei diventerà una necessità, di trasformarsi in fondazioni di diritto privato. Pertanto l’approvazione del decreto non fa in alcun modo venir meno le motivazioni della protesta.Ciò premesso crediamo che le novità introdotte dal governo vadano analizzate nel particolare. Moderatamente positivo è il nostro giudizio sulle nuove regole per il reclutamento dei ricercatori (abolizione di scritti e orali, membri esterni nominati per sorteggio, criteri unici nazionali per la valutazione dei titoli), perché vanno nella direzione auspicata dalla parte sana del mondo accademico e dalle associazioni dei precari. Dobbiamo però tenere alta l’attenzione sulla definizione dei criteri di valutazione che il governo non specifica e che a nostro avviso andrebbero discussi democraticamente, non demandandone la definizone solo al Consiglio Universitario Nazionale, facilmente esposto alle pressioni dei potentati accademici.Positiva è l’introduzione del vincolo di destinazione del 60% del budget all’assunzione di nuovi ricercatori che recepisce la richiesta di contrastare le piramidi rovesciate favorendo potenzialmente l’ingresso di giovani ricercatori attualmente destinati a infoltire la già troppo vasta schiera dei lavoratori precari. Ma il governo non si smentisce inserendo nel decreto la clausola con cui si consente alle università di utillizzare quelle risorse per assumere ricercatori a tempo indeterminato o determinato. Questa formulazione, oltre a costituire un grave passo verso la definitiva precarizzazione della figura del ricercatore universitario, vanifica di fatto il vincolo di destinazione.

È infatti prevedibile un aumento di assegni precari della durata di sei mesi in modo da recuperare rapidamente risorse da utilizzare quasi esclusivamente per gli avanzamenti di carriera . Chiediamo un investimento straordinario per il reclutamento di nuovi ricercatori a tempo indeterminato o, in subordine, si dovrebbe quanto meno stabilire che i soldi recuperati alla scadenza di un contratto a T.D. non possano essere utilizzati per finanziare gli avanzamenti di carriera. Chiediamo inoltre che la figura del ricercatore a tempo determinato divenga sostitutiva non del ricercatore a tempo indeterminato, ma di tutte le altre figure precarie prive dei diritti fondamentali del lavoratore (maternità, ferie, orari, tutela della salute e della sicurezza, tredicesima mensilità, protezione in caso di vacanza contrattuale, contributi previdenziali) attualmente presenti nelle università e negli enti di ricerca.Per quanto riguarda i concorsi da professore ordinario e associato, la novità introdotta del sorteggio nell’ambito di una rosa di nomi precedentemente eletta non avrà di fatto alcun impatto sostanziale sullo svolgimento dei concorsi stessi. Quindi avrà solo l’effetto di allungare i tempi dei concorsi già banditi dal momento che, visti i tagli, difficilmente ve ne saranno altri.Condividiamo la scelta di mantenere il piano di reclutamento straordinario approvato dal governo Prodi e di escludere i 3000 posti ancora da bandire dai vincoli sul turnover. Il governo deve però cancellare il comma del decreto che esclude gli atenei “non virtuosi” dall’assegnazione di questi posti, facendo ricadere sui giovani e i precari le responsabilità finanziarie di organismi amministrativi alla cui elezione essi attualmente non partecipano. Tale novità è addirittura peggiorativa rispetto alla stessa legge 133.Piccole novità procedurali per abbasire dunque lo spirito critico di rettori e partiti centristi di pseudopposizione. Ben poco rispetto alla domanda di civilizzazione espressa dall’Onda anomala che per questo non ha ragioni per smobilitare. Il 14 il grande sciopero del comparto universitario che vedrà riversarsi ancora una volta decine di migliaia di studenti e ricercatori nelle strade di Roma, e poi, il 15 e il 16, l’assemblea nazionale del movimento in cui riaffermeremo le ragioni della nostra lotta, rivendicheremo la nostra opposizione alle politiche di questo governo ma anche alle complicità malcelate del PD e delle forze centriste. Saremo ancora una volta in piazza per gridare il nostro progetto di università di massa e di qualità dentro un modello di società libero dallo scontro irrazionale tra capitali.

sabato 8 novembre 2008

RIUNIONE GIOVANI COMUNISTI/E

Compagni, compagne, simpatizzanti e lettori del nostro blog, questo pomeriggio (sabato 8 novembre) alle ore 17 vi invito a partecipare ad una riunione molto importante per decidere le strade da percorrere nell'immediato futuro, creare diversi gruppi di lavoro a temi, lavorare alla web-tv e discutere di eventuali vostre proposte! è importante la presenza di tutti voi: l'invito naturalmente è rivolto anche a giovani non tesserati che vogliano vedere in che modo e su che basi lavoriamo politicamente.

La riunione si terrà in via Lincoln, 3 (traversa di Corso dei Mille, poco prima del commissariato di Polizia) alle 17.

Gianluca Ricupati

giovedì 6 novembre 2008

GELMINI HA LE MANI LEGATE

di Gennaro Loffredo, Responsabile Naz Dip. Scuola e Formazione Prc


Il decreto Gelmini (trasformato in legge n°169 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 ottobre scorso) è paralizzato. Infatti i decreti attuativi, che dovrebbero dire dove e come tagliare le circa 88mila cattedre e gli oltre 44mila posti di ausiliari, tecnici ed amministrativi (ata), devono essere preceduti dal parere delle competenti commissioni parlamentari sul piano programmatico generale scritto dalla ministra e da Tremonti.
Le commissioni, a loro volta, sono bloccate perché non hanno ancora ricevuto il parere della Conferenza delle Regioni. Che in realtà si sono espresse dicendo a chiare lettere che non può esserci alcuna collaborazione con il governo centrale. La Gelmini ha chiesto al ministro per gli affari regionali Raffaele Fitto di trovare una soluzione.
Intanto l’Onda non si arresta. Continua a discutere negli Atenei come nelle scuole, fa lezione in piazza, una delegazione di studenti universitari parla all’assemblea della Fiom chiedendo di un grande sciopero generale che, categoria per categoria, blocchi il paese così come è avvenuto in Francia qualche tempo fa. Si mobilitano le donne; oggi un’assemblea delle “Donne in Onda” presso la facoltà di Fisica alla Sapienza, in preparazione della manifestazione del 22 novembre.
Si preparano le manifestazioni studentesche del 7 e in vista dello sciopero di università e ricerca del 14 di questo mese. E’ prevista inoltre anche un’assemblea nazionale per il 15 ed 16…insomma si va avanti con determinazione e, soprattutto, con le idee chiare. Il ministero della pubblica istruzione è in netta difficoltà. La Gelmini licenzia il “padre” della riforma che porta il suo nome: Tito Varrone, capo dell’ufficio legislativo del ministero, assunto sei mesi fa circa, ha dovuto fare i bagagli e lasciare il suo ufficio. Ignote ancora le cause.
Berlusconi continua a rettificare in corso d’opera. Il maestro unico sembrerebbe essere diventato prevalente (dove è scritto?); dopo la tirata d’orecchi dei vescovi il premier annulla i tagli (l’unica cosa buona fatta da Tremonti) previsti per le scuole private – 485milioni di euro in tre anni -; Bossi si impunta ed ottiene che le scuole di montagna non saranno toccate (lo scriveranno da qualche parte?).
Insomma un governo che fa acqua da tutte le parti. Un governo messo a dura prova dalla forte spallata del Movimento. Un governo che prende tempo sull’università dicendosi disponibile al dialogo. Formigoni, e tutta l’area cattolica interna al Pdl, che dà ragione agli studenti e l’intervento prima citato di U. Bossi, sembrano indicare un cambiamento di prospettiva politica. L’Onda ha aperto delle crepe. Presto arriverà la grande mareggiata che, speriamo, sommergerà il governo abbandonandolo al naufragio.

domenica 2 novembre 2008

Università e scuola in movimento: il sogno di Carla

La protesta guarda avanti. Come la studente che citando V. Woolf immagina di reinventare completamente i luoghi del sapere
Marco Assennato
L'emergenza di fenomeni di partecipazione collettiva qualche volta travalica la sua tradizionale funzione di balsamo democratico e civile e raggiunge quella difficile del traduttore: tramite di messaggi da uno all'altro, filtro intelligente per sentire il mondo. Così capita, persino in quest'Italia che pensavamo sommersa culturalmente, prima che politicamente, dalla destra catodica del presidente Berlusconi, capita che si produca un fenomeno potente opposto al potere. Non una spinta conservativa, come la descrivono i media e i commentatori ma, al contrario, un seme di modernità e progresso civile che guarda avanti a sé, e considera già passato questo momento così triste della vita politica italiana. Questo è il movimento che sta attraversando le strade d'Italia. Questo, e non altro: un soffio vitale, un'anima civile, un angelo col volto in avanti, privo di nostalgia, pieno di curiosità. Non altro: non è un movimento corporativo, perché non difende lo status quo dell'Università medievale e lobbistica, né la scuola spogliata, umiliata e offesa che risulta dalle scellerate politiche dell'ultimo decennio. Né, mi perdoni Liberazione , ha nulla a che fare con il prezzo dei peperoni o del pane, col carovita, questa moltitudine giovane e viva: che l'una cosa parla dell'agonia di un piccolo partito politico e l'altra, invece, della vita d'un grande paese. Non difende, dicevo, attacca, propone, trasforma. Perché, per stare ai classici, è movimento di chi lavora, di chi produce il corpo reale della formazione italiana. Sfilano le maestre, i professori, parte dell'accademia, i precari della ricerca su cui si regge l'Università italiana, e gli studenti liberi e allergici ai sacrali simulacri della simbologia del novecento. Attacca: dice alla destra «stai solo cancellando un pilastro di democrazia, il sistema lo cambiamo noi». M'ha colpito, più della mole, la qualità di quanto accade in questi giorni: docenti universitari che, sulla scorta della critica intelligente di precari, giovani ricercatori e studenti, finalmente mettono in crisi il paradigma della destrutturazione dell'istruzione pubblica, quel sistema di pensiero pedagogicamente rozzo e amministrativamente raffinato che negli anni novanta si chiamò "autonomia". C'è una luce, s'apre uno squarcio e chi non l'ascolta fa la figura del sordo, come la ex ministra Lanzillotta che l'altra sera in tv inseguiva la destra da destra. Certo, l'autonomia ha significato l'introduzione del problema della qualità e della responsabilità nel mondo della formazione italiana, ma in modo distorto. Il movimento di queste settimane non intende sottrarsi al confronto sulla qualità, per il banale motivo che non ha nulla da difendere. In più però, l'autonomia è stata anche una bestiale, stupida e inessenziale dottrina pedagogica (o forse si dovrebbe dire anti-pedagogica): l'idea che il criterio della qualità nella costruzione dei percorsi formativi e di ricerca andasse cercato fuori dal campo della formazione e della ricerca medesima, nel mercato e nella concorrenza, in quel paradiso degli anni novanta oggi fattosi inferno della crisi finanziaria, conosciuto come neoliberismo. Questo impianto è oggi andato in crisi ed è contestato dal movimento, che ha visto nei tagli alla scuola e all'università, la goccia che fa traboccare il vaso. La storia è lunga e allude ad una continuità di politiche ispirate a quel paradigma che progressivamente hanno provato a svuotare di senso uno dei corpi della repubblica. La contestazione riguarda i tagli e le riforme pregresse. La proposta invece guarda avanti, ad una scuola nuova. Per vincere, questo movimento che ha già prodotto il primo vero crollo dei consensi alle destre, ha bisogno di generalizzarsi. Per generalizzarsi ha bisogno di due fatti: uno organizzativo e uno culturale. In primo luogo, all'interno delle scuole e delle università il movimento ha raggiunto il massimo possibile d'estensione: ne è la prova l'affanno quotidiano dei media impegnati a descrivere «gli studenti che però vogliono studiare», come quando prima delle manifestazioni di Firenze descrivevano la discesa dei barbari sulla città d'arte, che poi invece ci accolse con il consueto calore. Adesso questo deve diventare il movimento di tutte e tutti: qui il punto organizzativo. Perché il diritto all'accesso ai più alti gradi della formazione è una questione che riguarda tutti: dall'operaio all'impiegato, dal disoccupato alla casalinga. Allora vanno bene gli scioperi di categoria, vanno bene i referendum abrogativi, ma il prossimo passaggio ha un nome antico: Sciopero Generale. Tutti i sindacati, confederali e non, potrebbero farsi carico di esser tramite tra il movimento e la società. Fermiamo il paese per un giorno. Ciò potrebbe rappresentare, tra l'altro, un'inedita riconfigurazione nei rapporti intrasindacali e tra sindacati e movimenti autonomi. Ma in secondo luogo bisogna ripensare la formazione, lo statuto dei saperi, l'ordine delle discipline e i criteri della ricerca: serve una nuova cultura della scuola e dell'università pubbliche. Bisogna saper vedere l'estremo danno che si è prodotto negli ultimi dieci anni con la cosiddetta autonomia. Di quale patologia, infatti, sono sintomi i famigerati corsi di laurea in Giardinaggio Artistico, Lingue per il web, Moda e tecnologia del design - come tutti gli altri che hanno fatto proliferare in modo abnorme e patologico i corsi di laurea e le facoltà fantasma - che oggi vengono presi ad esempio degli sprechi del pubblico denaro, se non della perversa logica della professionalizzazione e della specializazione dell'offerta formativa, introdotte con l'autonomia?L'anno scorso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo ha organizzato un convegno su "I saperi umanistici nell'Università che cambia", per discutere del senso degli studi classici, o, se vogliamo, dell'importanza che essi hanno per la società intera. Fu una scelta coraggiosa, in un momento in cui pareva imperante l'idea che i classici, la storia, la filosofia siano cose da non perderci tempo, e da non buttarvi denaro. Ma in quel convegno accadde un piccolo evento, che spiega le strade affollate dai cortei di questi giorni. Tra i relatori, una studentessa ha raccontato la sua vita nell'università del 3+2. Quella vita va ascoltata, perché racconta il movimento di oggi più d'ogni commento. Si chiama Carla, la studentessa, e nel frattempo s'è laureata. Diceva, Carla: «I ritmi del nuovo ordinamento impongono uno studio compresso che non concede spazio all'elaborazione creativa delle discipline che affollano la nostra mente senza riuscire a formarla» e ancora «anche nel campo umanistico sembra essersi diffusa una fiducia incondizionata alle leggi del mercato, alla professionalizzazione, alla specializzazione, ma il sapere umanistico, non dovrebbe godere di uno statuto particolare, di un generalismo - solo apparentemente non conforme alle richieste del mercato del lavoro - necessario perché continui ad avere la sua ragion d'essere?». E concludeva, con un sogno, Carla, citando Virginia Woolf, il sogno suo di rifondare l'università su basi nuove: «Cosa si dovrà insegnare nel College Nuovo? Certo non l'arte di dominare sugli altri, non l'arte di governare, di uccidere, di accumulare terra e capitale. […] nel College Nuovo si dovranno insegnare la medicina, la matematica, la musica, la pittura, la letteratura. E l'arte dei rapporti umani». È il sogno di Carla, che in questi giorni, s'è messo in cammino. Nient'altro. Forse dovremmo ascoltarlo.

sabato 1 novembre 2008

Lettera a una studentessa

Non hai un solo nome, sei un soggetto plurimo, sei una moltitudine, sei maschile e femminile. Eppure voglio scriverti pensandoti come un singolo, anzi come una singola. Si, come una studentessa: e non certo per pelosa galanteria, ma perché la “cosa” che incarni è così poco militarizzata e gerarchizzata che mi offre una declinazione al “femminile” dei pensieri che mi ispiri. E dunque, cara studentessa anti-Gelmini: ti spio, ti annuso, provo a decifrare il tuo lessico, cerco di indovinare i tuoi gusti e le tue passioni. Hai la faccia anche della mia piccola Ida, che è andata al suo battesimo con la piazza con la serietà con cui ci si presenta ad un esame scolastico. Il suo primo corteo. Mi sono imposto, per una questione di igiene politica, di non fare paragoni (il 68, il 77, l’85, la pantera): quei paragoni che dicono molto della nostra vecchiezza e poco della giovinezza di chi compone le forme nuove della ribellione al potere. Ho cercato di non sovrapporre la mia epopea, la mia biografia, la mia ideologia, al corpo sociale che tu rappresenti, al processo culturale che tu costruisci, alla radicale contraddizione che tu fai esplodere con la fantasia e il sarcasmo dei tuoi codici comunicativi e della tua contro-informazione. Tu sei, seppure ancora appesa a più fili di adolescenza, una domanda matura e irriducibile di democrazia: e hai capito che per non essere ridotta alla volgarità del tele-voto e della pubblicità, la democrazia non può che vivere e rigenerarsi nel rapporto con le culture, nella socializzazione dei saperi critici, nella ri-tessitura quotidiana delle reti di incivilimento e dei nodi di convivialità. La scuola è il fondamento di ogni democrazia. Lo è quando insegna ai bimbi delle elementari l’elementare rispetto per ogni essere umano: precetto che forse evaporerebbe in qualche istituto scolastico di rito padano. Lo è quando riannoda i fazzoletti della memoria storica e tramanda narrazioni, saperi e valori. Lo è anche quando la scuola fuoriesce da sé, straripa nel conflitto politico-sociale, invade la piazza,trasferisce la cattedra sul marciapiede, proietta le proprie attitudini pedagogiche sui territori, rompe la separatezza dei suoi microcosmi e investe con domande di senso l’intera società. Dimmi che scuola hai e ti dirò che società sei. C’è chi immagina, anzi c’è chi vuole apparati della formazione che preparino alla precarietà esistenziale e produttiva: e dunque servono scuole e università dequalificate. Le classi dirigenti (forse è più appropriato dire “classi dominanti”) si riproducono invece per partenogenesi, ben protette in quei laboratori della clonazione sociale che sono scuole e università private. Cara studentessa, queste cose tu le hai scoperte con semplicità, le hai spiegate alla tua famiglia, le hai narrate con compostezza nelle assemblee, hai rivendicato la tua centralità (la centralità della pubblica istruzione) contro chi “cogliendo l’attimo” dell’egemonia berlusconiana voleva e vuole di colpo annullare un secolo di battaglia delle idee, di esperienze gigantesche di riorganizzazione sociale e scolastica: hai ben compreso che la Gelmini non è folclore, ma è il punto più insidioso dell’offensiva della destra, è una sorta di don Lorenzo Milani rovesciato, è l’apologia di un “piccolo mondo antico” abitato da voti in condotta e grembiulini monocromatici dietro la cui scenografia ottocentesca si muove la modernità barbarica del mercato: che non ha bisogna di individui colti, e liberi perché padroni delle conoscenze, ma ha bisogno di piccole libertà in forma di merce per individui ammaestrati alla competizione e diseducati alla cooperazione.Carissima studentessa, la lezione più importante che ho appreso studiando le vicende del secolo in cui sono nato è che l’obbedienza non è una virtù assoluta. Se è ossequio ad un potere cieco, ad un codice violento, ad un paradigma di morte, allora bisogna ribellarsi, allora bisogna scegliere le virtù civiche della disobbedienza. Non si può obbedire alla politica del cinismo affaristico e classista. Al contrario, dobbiamo cercare la politica che ci aiuta ad essere la forza ostetrica che fa nascere il futuro. Volevo ringraziarti perché, spiandoti e annusandoti, non ho pensato: questa qui è dalla mia parte. Ho pensato che la mia parte (stavo per dire il mio partito) è nello spazio riempito dai tuoi gesti, dalle tue parole, dalla forza inaudita di tutte le tue libertà.

Nichi Vendola