Giovani Comunisti/e circolo "Peppino Impastato" Partinico (PA)

lunedì 22 dicembre 2008

LA MAFIA SULL'ASSE PALERMO-TRAPANI

di Gianluca Ricupati da Agoravox.it

Si sarebbe potuta scatenare una terrificante guerra di mafia se le forze dell'ordine non avessero interrotto le dinamiche interne a Cosa Nostra, con la recente operazione Perseo.

Palermo e Trapani sono divise da una linea invalicabile e i rispettivi capi si spartivano i territori delle due provincie. Ma Matteo Messina Denaro aspirava al trono di capo dei capi, lasciato scoperto da Binnu Provenzano. Per questo, essere l'esponente di spicco della provincia trapanese non bastava: era giunto il momento di scendere su Palermo e abbattere in una marcia trionfale i principali nemici, rappresentati dal clan Lo Piccolo, che soprattutto prima dell'arresto dei padrini Sandro e Salvatore avevano di fatto il comando di Palermo ed esercitavano una pesante influenza anche da dietro le sbarre del carcere.

Il boss di Castelvetrano aveva anche gli amici palermitani: diverse famiglie mafiose del capoluogo, nonché paesi come Borgetto, Montelepre e Gibellina. Ed infatti questi paesini, che tutti sapevano essere affiliati a Trapani, erano stati esclusi dalla riorganizzazione provinciale dei clan: la giusta punizione che i palermitani avevano stabilito per i traditori borgettani e monteleprini. Che non corra buon sangue tra i Lo Piccolo e Messina Denaro si ha la certezza attraverso le intercettazioni ambientali effettuate dai carabinieri il 25 ottobre 2007, solo dieci giorni prima dell'arresto a Giardinello dei boss di San Lorenzo. A svelare tutto e a chiarire agli inquirenti la situazione della cupola mafiosa sono le parole che si scambiano i gestori dell'albergo Villa Medea di Pioppo, dove si sono svolti a quanto pare diversi summit di mafia. Il quadro è chiaramente delineato: "C'è sciarra tra quello di Castelvetrano e questo di Palermo". Un contrasto così forte che in una riunione organizzata dagli stessi gestori dell'hotel, Sandro Capizzi, figlio del boss che aveva il compito ricostruire la commissione provinciale di Cosa Nostra, non voleva che fosse presente un'esponente di Borgetto, considerato nemico. Al summit dovevano partecipare 10 persone: 2 esponenti di Trappeto, 1 di Borgetto, altri esponenti non noti, probabilmente qualcuno della stessa Montelepre e Sandro Capizzi. Quest'ultimo aveva storto il naso ed espresso il proprio malumore agli organizzatori della riunione: tre famiglie a Palermo non dovevano entrare completamente, “quelle di Gibellina, Borgetto e Montelepre: quelli erano di Trapani, non c'entravano niente. Non erano nessuno!".

La possibile guerra tra Palermo e Trapani spaventava in un certo senso gli esponenti mafiosi palermitani. I boss di Borgetto infatti volevano far scender Matteo Messina Denaro. "Se scendono loro, ti ricordi il giornale "L'ora", che lo aprivi il pomeriggio e c'erano due, tre, quattro morti?" dice l'imprenditore Bellino in una telefonata. Ma se da un lato, si teme il pesante ritorno alle armi, dall'altro Matteo Messina Denaro viene considerato troppo attendista dai suoi affiliati. "Se non si prende la responsabilità lui, chi se la deve prendere?" lamenta l'interlocutore di Bellino. I due criticano Messina Denaro, ma manifestano allo stesso tempo la preoccupazione per la strategia espansionistica dei Lo Piccolo, che non erano ancora in gabbia, e che si stavano imponendo su tutto il territorio palermitano. "A me la cosa non fa paura, perché io li conosco a tutti. Io a qualcuno lo farei saltare pulito pulito”.

Intanto 34 fiancheggiatori arrestati sono stati già condannati, soltanto 5 assolti. Sequestrati anche 100 mila euro trovati nelle case degli arrestati. Una buona parte delle famiglie mafiose palermitane sono state smantellate, ma gli inquirenti danno ancora la caccia a tre indagati che sono riusciti a sottrarsi alla cattura. Adesso che il progetto di ricostruzione della cupola di Palermo può considerarsi fallito, potrebbe avviarsi la controffensiva di Messina Denaro. Sfruttare il campo libero lasciato dal 90 arresti per la marcia su Palermo oppure attendere che si calmino le acque e proseguire sulle orme di Provenzano una latitanza già abbastanza prolungata. Tutto ciò, a meno che non arrivino le contromosse delle forze dell'ordine, che finora hanno sempre bloccato sul tempo i progetti più vasti di ricostruzione mafiosa. Ancora una volta essenziali per le indagini le intercettazioni, per le quali le varie questure cumulano migliaia di euro di debiti.

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