Una sera come tante, camminavo per le strade di una città che non sento mia, come ogni giorno negli ultimi tempi, un passo dopo l’altro alienata in una realtà in cui una donna di trent’anni, laureata, vive ancora a carico della famiglia.
La solita strada, il solito umore, identico il mio umore, pochi soldi in tasca, nessuna tutela, pochissime speranze, in poche parole precarietà.
Ho lavorato durante gli studi e rinunciato ad uno stipendio, sicuramente non sufficiente ma sicuro per realizzare il sogno di lavorare per la tutela del lavoro. Sono stata manodopera altamente specializzata a costo zero.
Lavoro in splendenti, soffocanti, dorati palazzi riflesso della nuova borghesia palermitana. Giorno per giorno assisto al pochismo di una classe dirigente che non ha la più pallida idea di ciò che siano le istanze di una terra che ha tutte le potenzialità per affermare un giusto benessere. Una società in cui l’avere ha di gran lunga più significato dell’essere, in cui gli stereotipi, i pregiudizi ed i processi formativi allontanano l’uomo dall’uomo creando così una spaccatura che investe non solo il mondo dell’eticamente equo ma che si pone come limite ad un arricchimento economico.
Ma, ieri notte, per un momento, in mezzo al degrado che puzza di pesce, risucchiata nella versione notturna della celebre “Vucciria” di Guttuso, in un luogo in cui la radicata tradizione si unisce alla multiculturalità, tra gente che non appartiene all’affarismo, stranamente, per quanto estranea, mi sono sentita a casa.
Nello stesso istante in cui sentivo di essere inghiottita da un quotidiano senso di sfiducia e rassegnazione, un’emozione, che doveva essere qui, nascosta ed assopita in qualche angolo si è risvegliata.
La piazza piena di studenti, menti pensanti che, come me, prima o poi sceglieranno la fuga alla ricerca di una prospettiva all’amore per la propria terra. Coglievo la ricchezza di quel luogo, di quel momento di perfetto equilibrio tra origini e culture.
In un momento in cui si è tornati nelle piazze a rivendicare il ruolo della cultura e manifestare contro una riforma xenofoba, qual è quella delle contestate classi ponte, qui, nel cuore della città, si vive il fragile equilibrio tra la globalizzazione e il desiderio di appartenenza. Un equilibrio fondato sulle comuni necessità di vita, nato dalle esigenze e nutrito dall’innato senso di umanità e sopravvivenza, ma per nulla favorito dalle istituzioni.
Secondo i documenti ufficiali del Ministero “La Multiculturalità è un dato di fatto, il concetto descrive la fattuale compresenza di culture diverse entro una società.”
Se un Paese non funziona il primo problema va ricercato nella cultura e quindi del mondo della scuola. L'educazione interculturale, che è condizione strutturale della società multiculturale, passa tra i banchi di scuola per creare un processo di valorizzazione delle diverse appartenenze contrastando i pregiudizi etnocentrici.
Tale tema non può essere affrontato con le stesse modalità con cui si gestiscono e risolvono i problemi legati alla produzione che non tengono conto di rilevanti fattori legati alla persona umana quanto tale e quale prima risorsa della organizzazione socio - economica.
Parlando di multiculturalità non ci si può limitare al fenomeno dell’immigrazione, che sicuramente aggiunge differenziazioni a differenziazioni già presenti in ogni società.
Il valore che nel mondo contemporaneo assume la “cultura del diverso” non rileva solo ai fini di una giustizia sociale, l’incontro tra culture è fonte di ricchezza per un paese capace di coglierla.
Una ricchezza che non può passare attraverso la via del ragionamento dell’uomo qualunque che semplifica attraverso i mezzi di comunicazione di massa i problemi della società in cui viviamo rivestendo il rifiuto per ciò che è altro con un pesante manto di falsa pietà che spesso fa dello straniero oggetto oltre che di sfruttamento di numerosi episodi di xenofobia.
La cultura fine a se stessa non aiuta a sollevarci da questo clima statico. La pseudo cultura propinata sui banchi di scuola non forma la capacità di pensiero e di critica delle nuove generazioni. È necessario sapere chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo arrivare, è indispensabile ritrovare un senso di comune coscienza per combattere l’odio dell’uomo per l’uomo. Ed in tale contesto, la formazione intellettuale ha il dovere di lottare per i cambiamenti sociali e per la realizzazione di uno sviluppo economico sostenibile che ponga la persona al centro del sistema economico.
La paura ed il rifiuto per ciò che è estraneo costituisce un muro invalicabile per l’accoglimento delle fonti del cambiamento che provengono dall’esterno. Anche in questo senso, l’apertura all’innovazione, così come il consolidarsi della tolleranza, passa attraverso la cultura.
L’attualità di queste parole, in una terra come la nostra, in cui la ricchezza economica non potrà mai essere legata al possesso del petrolio o alla ricchezza delle materie prime o delle armi, deve portarci a rivalutare l’immenso patrimonio costituito dal capitale umano, dall’incalcolabile ricchezza costituita dalla pluralità linguistica e culturale, dal patrimonio artistico architettonico, dalla risorsa dell’interculturalità.
La creatività è una ricchezza valida tanto quanto i tradizionali fattori di produzione. Inoltre la diversa composizione del capitale umano legata ai processi d’interazione di culture favorisce la comunicazione di tendenze, intelligenze e predilezioni diverse, consolidatesi nel corso del tempo nelle culture di ogni paese.
La solita strada, il solito umore, identico il mio umore, pochi soldi in tasca, nessuna tutela, pochissime speranze, in poche parole precarietà.
Ho lavorato durante gli studi e rinunciato ad uno stipendio, sicuramente non sufficiente ma sicuro per realizzare il sogno di lavorare per la tutela del lavoro. Sono stata manodopera altamente specializzata a costo zero.
Lavoro in splendenti, soffocanti, dorati palazzi riflesso della nuova borghesia palermitana. Giorno per giorno assisto al pochismo di una classe dirigente che non ha la più pallida idea di ciò che siano le istanze di una terra che ha tutte le potenzialità per affermare un giusto benessere. Una società in cui l’avere ha di gran lunga più significato dell’essere, in cui gli stereotipi, i pregiudizi ed i processi formativi allontanano l’uomo dall’uomo creando così una spaccatura che investe non solo il mondo dell’eticamente equo ma che si pone come limite ad un arricchimento economico.
Ma, ieri notte, per un momento, in mezzo al degrado che puzza di pesce, risucchiata nella versione notturna della celebre “Vucciria” di Guttuso, in un luogo in cui la radicata tradizione si unisce alla multiculturalità, tra gente che non appartiene all’affarismo, stranamente, per quanto estranea, mi sono sentita a casa.
Nello stesso istante in cui sentivo di essere inghiottita da un quotidiano senso di sfiducia e rassegnazione, un’emozione, che doveva essere qui, nascosta ed assopita in qualche angolo si è risvegliata.
La piazza piena di studenti, menti pensanti che, come me, prima o poi sceglieranno la fuga alla ricerca di una prospettiva all’amore per la propria terra. Coglievo la ricchezza di quel luogo, di quel momento di perfetto equilibrio tra origini e culture.
In un momento in cui si è tornati nelle piazze a rivendicare il ruolo della cultura e manifestare contro una riforma xenofoba, qual è quella delle contestate classi ponte, qui, nel cuore della città, si vive il fragile equilibrio tra la globalizzazione e il desiderio di appartenenza. Un equilibrio fondato sulle comuni necessità di vita, nato dalle esigenze e nutrito dall’innato senso di umanità e sopravvivenza, ma per nulla favorito dalle istituzioni.
Secondo i documenti ufficiali del Ministero “La Multiculturalità è un dato di fatto, il concetto descrive la fattuale compresenza di culture diverse entro una società.”
Se un Paese non funziona il primo problema va ricercato nella cultura e quindi del mondo della scuola. L'educazione interculturale, che è condizione strutturale della società multiculturale, passa tra i banchi di scuola per creare un processo di valorizzazione delle diverse appartenenze contrastando i pregiudizi etnocentrici.
Tale tema non può essere affrontato con le stesse modalità con cui si gestiscono e risolvono i problemi legati alla produzione che non tengono conto di rilevanti fattori legati alla persona umana quanto tale e quale prima risorsa della organizzazione socio - economica.
Parlando di multiculturalità non ci si può limitare al fenomeno dell’immigrazione, che sicuramente aggiunge differenziazioni a differenziazioni già presenti in ogni società.
Il valore che nel mondo contemporaneo assume la “cultura del diverso” non rileva solo ai fini di una giustizia sociale, l’incontro tra culture è fonte di ricchezza per un paese capace di coglierla.
Una ricchezza che non può passare attraverso la via del ragionamento dell’uomo qualunque che semplifica attraverso i mezzi di comunicazione di massa i problemi della società in cui viviamo rivestendo il rifiuto per ciò che è altro con un pesante manto di falsa pietà che spesso fa dello straniero oggetto oltre che di sfruttamento di numerosi episodi di xenofobia.
La cultura fine a se stessa non aiuta a sollevarci da questo clima statico. La pseudo cultura propinata sui banchi di scuola non forma la capacità di pensiero e di critica delle nuove generazioni. È necessario sapere chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo arrivare, è indispensabile ritrovare un senso di comune coscienza per combattere l’odio dell’uomo per l’uomo. Ed in tale contesto, la formazione intellettuale ha il dovere di lottare per i cambiamenti sociali e per la realizzazione di uno sviluppo economico sostenibile che ponga la persona al centro del sistema economico.
La paura ed il rifiuto per ciò che è estraneo costituisce un muro invalicabile per l’accoglimento delle fonti del cambiamento che provengono dall’esterno. Anche in questo senso, l’apertura all’innovazione, così come il consolidarsi della tolleranza, passa attraverso la cultura.
L’attualità di queste parole, in una terra come la nostra, in cui la ricchezza economica non potrà mai essere legata al possesso del petrolio o alla ricchezza delle materie prime o delle armi, deve portarci a rivalutare l’immenso patrimonio costituito dal capitale umano, dall’incalcolabile ricchezza costituita dalla pluralità linguistica e culturale, dal patrimonio artistico architettonico, dalla risorsa dell’interculturalità.
La creatività è una ricchezza valida tanto quanto i tradizionali fattori di produzione. Inoltre la diversa composizione del capitale umano legata ai processi d’interazione di culture favorisce la comunicazione di tendenze, intelligenze e predilezioni diverse, consolidatesi nel corso del tempo nelle culture di ogni paese.
Valentina B.
3 commenti:
Cara Valentina, decidere quali parole utilizzare per esprimerti il mio pensiero a riguardo è difficile soprattutto a fronte di un testo così ricco di pathos e di profonde riflessioni che ci fanno interrogare sull'essenza della nostra stessa umanità. Io mi ritengo interculturale in una società che di fatto non lo è, anzi. Per fortuna ancora qualcuno con un po’ di senno ancora in questa terra rimane ed il tuo lavoro, per quello che ne ho capito, (paradossale che tu abbia rinunciato ad uno stipendio lavorando allo stesso tempo per la tutela del lavoro; ma purtroppo questo è l’unico modo per acquisire esperienza, perché sono i “padroni” a decidere) in questo senso è fondamentale.
Ti chiedo, soprattutto perché abbiamo pensato questo blog come spazio di discussione e non come mera pubblicazione dei nostri univoci pensieri: cosa e come può lottare la nostra piccola realtà affinché l’interculturalità non sia relegata ai margini della società? Abbiamo iniziato un percorso su ciò attraverso un incontro tematico sul razzismo nell’agosto del 2008. Poi ci siamo fermati forse perché ci sentiamo un po’ soli e senza neppure l’appoggio di quella gente, che noi vogliamo tutelare o meglio far integrare. Il tema è ampissimo, però potremmo cominciare a parlarne, anche attraverso il web inizialmente, ormai un mezzo linguistico diffusissimo.
Gianluca Ricupati
Sono stata molto contenta di trovare il tuo commento. Io c'ero ad agosto e quando il lavoro, si fa per dire, me lo permetterà ci sarò anche in futuro. Il tema è molto delicato e capisco benissimo il senso di sfiducia dato dalla lontananza non solo delle istituzioni ma anche delle persone dirette interessate. Questa gente ha, credo, bisogno di sapere con chi ha a che fare, vuole sentirsi sicura dell'interlocutore e magari non pensare che sia solo un momento. Sono cose che magari noi sappiamo, ma non è sufficiente. Inoltre la loro presenza è indispensabile per sviluppare una proposta che sia il più possibile rispondente alle istanze che si presentano nel nostro territorio. Incontriamoci e parliamo. Ti ringrazio.
Cosa dire delle riflessioni di Valentina pubblicate sul blog? Che il mondo dei "nostri" giovani ,per certi versi, resta a noi adulti sconosciuto, fino a quando uno scritto (quello di Valentina) o una risposta (quella di Gianluca)non ti aprono il cuore alla speranza di una generazione che non é soltanto capace di riflettere e scrivere ma di comprendere non solo la propria -cosa importantissima- ma anche la condizione degli altri.
Cari giovani compagni, voi con la vostra stessa esistenza e per quel che esprimete, affrancate tutto quel vasto mondo giovanile, anche locale, intriso di superficilità,egoismo,opportunismo, subordinazione ai potentucoli di turno di cui oggi abbiamo uno spaccato rappresentativo nche all'interno delle nostre stesse Istituzioni comunali, provinciali, regionali.
Io resto fermemente convinto che con voi un nuovo mondo é veramente possibile.
Toti Costanzo
27 dicembre 2008
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